Avvenire di Calabria

Monsignor D'Anna è parroco della comunità dell’Itria di Reggio Calabria. Spiega il prezioso valore di «essere uniti nel dono»

Sacerdoti, una porta aperta alla speranza: don Giacomo si racconta

Dall'ascolto all'accoglienza in sacrestia, fino alla nuova iniziativa per togliere i giovani dalla strada e offrire loro un'occasione di confronto: «così costruiamo comunità»

di Redazione Web

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Insieme alle opere materiali, importante l’azione spirituale svolta dai parroci. «In parrocchia c’è sempre spazio per una parola di conforto e amore». Monsignor Giacomo D’Anna è parroco della comunità dell’Itria di Reggio Calabria. Spiega il prezioso valore di «essere uniti nel dono».

Don Giacomo D'Anna si racconta: «vi spiego come si può essere uniti nel dono»

Una presenza discreta e sempre disponibile. Un vero e proprio dono, quello dei sacerdoti, per le comunità. Soprattutto quando c’è da mettersi in ascolto degli altri, per portare un buon consiglio o donare speranza ai dimenticati. Don Giacomo D’Anna, da due anni parroco dell’Itria, comunità della diocesi di Reggio Calabria - Bova racconta qui anche di una nuova iniziativa legata al suo ministero pastorale.

Don Giacomo, in oltre trent’anni di ministero sacerdotale quali esperienze l’hanno segnata maggiormente?

Sono presbitero da circa 34 anni, e ciò che mi ha segnato maggiormente è stato il lungo ministero come parroco e l’esperienza come cappellano nelle carceri. Ho trascorso 27 anni alla guida della parrocchia di San Paolo, una realtà che accoglieva non solo il quartiere, ma anche molte persone del centro e dalle periferie di Reggio Calabria.



Tuttavia, il servizio come cappellano per 14 anni ad Arghillà e in particolare nel carcere di San Pietro, è stata un’esperienza molto forte. Lì sono stato chiamato a essere presenza di Cristo in un contesto difficile, senza giudicare, ma portando quella parola di speranza e consolazione di cui tanti detenuti hanno bisogno.

Quanto è importante mantenere sempre una porta aperta all’ascolto e all’aiuto?

Non vorrei sembrare presuntuoso, ma questa è stata la prima parola del mio ministero: la porta aperta. La porta aperta indica soprattutto accoglienza, attenzione e disponibilità. Oggi si parla tanto di inclusività, ma le porte chiuse non sono solo un fatto fisico. Una porta chiusa, nel senso che qualcuno te la sbatte in faccia, può essere la cosa più triste del mondo. Ma una porta chiusa rappresenta anche una Chiesa che non può avere recinti o steccati. La Chiesa deve costruire ponti e fare di tutto perché chiunque si avvicini possa sentirsi accolto, amato, mai giudicato e soprattutto mai condannato.

Quando qualcuno bussa ed entra alla porta della sua parrocchia per trovare conforto, quale consiglio dà?

Dare una parola di speranza è fondamentale. Uno degli ostacoli più grandi è superare una mentalità che vede Dio come un’entità sempre arrabbiata, pronta a punire. Tante volte, anche tra i cristiani, c’è questa idea: quando accade qualcosa di brutto, si dice: «Che cosa ho datto di male io, perché il Signore ce l’ha con me, perché mi ha punito?». Ma Dio non è arrabbiato con noi, non è il nostro nemico. Papa Francesco ha scelto la misericordia come stile e annuncio, e questo è essenziale per comprendere che Dio è nostro alleato, non colui che ci fa la guerra. È colui che ci aiuta nelle difficoltà.

Ha citato il concetto di una Chiesa con le porte aperte. Come concretizza questo nella sua comunità dell’Itria?

Ho voluto fortemente aprire un centro di ascolto per i giovani, acquisendo un locale accanto alla chiesa, un impegno oneroso che affrontato con sacrificio. Questo spazio, visibile dalla strada, permette ai giovani di entrare liberamente senza la necessità di varcare la soglia della Chiesa.


PER APPROFONDIRE: Itria, la missione di monsignor D’Anna: testimoniare la gioia


È una novità importante: non trovano solo un prete, ma persone pronte ad ascoltarli e ad accoglierli in un ambiente di fiducia. Questo progetto è uno dei più significativi degli ultimi due anni. Con il prossimo Giubileo, l’immagine della porta aperta sarà un’icona centrale, simbolo di accoglienza e ascolto, e rappresenta la vita concreta della comunità che offre sostegno a chi è in difficoltà, dalle famiglie disgregate ai giovani in cerca di comprensione.

Donarsi agli altri richiede naturalmente del tempo prezioso. Ciò non sarebbe possibile senza il supporto di tanti benefattori. Quanto è importante sentirsi davvero “uniti nel dono”?

Questa espressione, «uniti nel dono», mi piace moltissimo, soprattutto perché non evoca solitudine. La parola «uniti», «insieme », ci ricorda che in tutto ciò che facciamo non possiamo essere individualisti, né cadere nella tentazione del protagonismo. Siamo chiamati ed educati per essere un «noi», non un «io». La parola «dono», strettamente legata a «insieme», riapre il cuore alla speranza. Sull’esempio di san Francesco d’Assisi, ci insegna che «è donando che si riceve». Più ci apriamo al dono, più riceviamo. Ecco l’importanza di sentire non tanto qualcuno che ci dà qualcosa, ma di comprendere che, insieme, in questa pastorale del dono, non guardiamo all’altro dall’alto di chi può fare del bene, ma ci poniamo accanto, cercando il bene comune.

«Uniti nel dono»: come sostenere l'opera preziosa di don Giacomo D'Anna e degli altri sacerdoti delle nostre comunità

Nonostante il loro contributo economico ridotto, le offerte mantengono un forte valore simbolico e pastorale. Ogni donazione, anche la più piccola, è un riconoscimento del bene che i sacerdoti fanno ogni giorno e un segno della responsabilità dei fedeli verso di loro.



Sovvenire alle necessità della Chiesa, spiega Monzio Compagnoni, responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa, «rimane un dovere di chi si professa cristiano e donare è semplice e sicuro, e si può fare anche direttamente dal sito, con pochi clic. La firma per l’8xmille è indispensabile ma tutti possiamo, e dobbiamo, fare un passo di più».

«È il gesto che conta, non l’importo. Per questo invito tutti a visitare il sito Unitineldono.it e a fare la propria piccola ma indispensabile parte», spiega ancora Monzio Compagnoni. Diverse le modalità proposte per contribuire a sostenere l’opera e la missione dei sacerdoti diocesani come don Giacomo D’Anna e di tutti coloro impegnati nelle altre comunità.

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