Avvenire di Calabria

Mimmo Nunnari approfondisce e analizza temi e prospettive emersi nel corso dell'appuntamento tenutosi recentemente a Trieste

Servono i cattolici in politica?

Riflessioni dopo le Settimane Sociali: È possibile oggi ripensare a un rinnovato impegno nella cosa pubblica?

di Mimmo Nunnari

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Papa Francesco da Trieste, in chiusura della cinquantesima edizione delle Settimane sociali italiane, ha lanciato ai laici cattolici un pressante invito: «Passare dal parteggiare al partecipare, dal fare il tifo al dialogare e a moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani».

Un impegno per la giustizia e la pace

Francesco ha citato come esempio luminoso di cattolici in politica Aldo Moro e Giorgio La Pira, entrambi con ruoli diversi protagonisti della più bella stagione dei cattolici in politica cominciata nel dopoguerra, e ha sottolineato che il perno della democrazia è la partecipazione. Ha detto: «Non possiamo accontentarci di una fede marginale o privata; ciò significa avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico, avere qualcosa da dire non per difendere privilegi ma per essere voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce».

Il rilancio dell'impegno politico dei cattolici

Aperte dall’intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la cui formazione, com’è noto, è avvenuta nell’ambito del filone cattolico democratico, e chiuse con le parole del Papa, le Settimane sociali, che nacquero nel 1907 per iniziativa di Giuseppe Toniolo, economista e sociologo di origine veneta, figura centrale del movimento cattolico italiano, hanno riproposto la questione dell’impegno diretto dei cattolici in politica. Tema che, con la fine della Democrazia Cristiana avvenuta ufficialmente nel 1994, è rimasto confinato in un limbo, non essendosi più ricreate nella politica italiana le condizioni per rigenerare un terreno culturale, etico e spirituale condiviso su cui costruire una convergenza, come osservava in un libro di qualche anno fa il filosofo Giuseppe Savagnone (I cattolici e la politica oggi, edizioni Cittadella, Assisi).


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Savagnone rifletteva su come superare la situazione di «irrilevanza» e «afonia» dei cristiani nella «costruzione della pòlis» e nel suo ragionamento riteneva imprescindibile l’esigenza per un cristiano di fare politica, da intendersi naturalmente come servizio volto al bene comune. Stesso concetto, tempo dopo, ha espresso il filosofo Massimo Cacciari su «La Repubblica»: «Il cristiano non potrà mai essere un impolitico. La fede stessa nell’Incarnazione costringe a tale verità».

I nodi culturali e politici del cattolicesimo

Fatta questa premessa, tentiamo di capire quali nodi di natura culturale e politica si frappongono fra l’immenso potenziale dei cattolici e i partiti che potrebbero accogliere questo patrimonio, facendolo proprio assorbendo alcuni principi universali della dottrina cristiana che offre prospettive interessanti di risposta alle ingiustizie sociali che sono valide per tutti, anche per i non credenti o gli appartenenti a ideologie della sinistra tradizionale.

Nessuna tra le forze politiche al momento in campo può dichiararsi erede dell’esperienza della Democrazia Cristiana che si è liquefatta lasciando il ricordo degli errori e degli scandali degli ultimi anni, mentre sono stati colpevolmente dimenticati dalla storiografia, dalla cultura e dalla politica gli anni dell’impegno straordinario che consentirono all’Italia di passare dagli orrori della dittatura fascista alla democrazia, senza correre il pericolo di un avvento del comunismo che a quel tempo, anche in Italia, aveva solide relazioni culturali e ideologiche col comunismo sovietico.


PER APPROFONDIRE: 50ª Settimana Sociale dei Cattolici, Reggio Calabria presente


Nell’Ulivo di Romano Prodi c’era qualche contenuto culturale post democristiano destinato ad amalgamarsi con i contenuti dell’esperienza della sinistra dei post comunisti, ma successivamente, dopo Prodi, di quest’amalgama di culture socialiste, riformiste e cristiane che era l’idea vincente dell’Ulivo si sono perse le tracce e si è affermato un modello politico nel Pd prodotto di varie frullature ed esperienze maturate nella burocrazia organizzativa del vecchio Pci, neppure di quello di Enrico Berlinguer, il leader che con Moro aveva inaugurato la stagione della solidarietà nazionale.

Cattolici in politica, da dover ripartire?

Sull’altra faccia della medaglia c’è oggi un sentire cattolico che pensa di esaurire il proprio essere in un elenco di «valori non negoziabili», o di principi fondamentali da cui non si vuole derogare. Occorrono invece, nel momento di smarrimento attuale, posizioni elastiche o fluide che consentano un ragionevole bilanciamento tra le proprie e le altrui posizioni.

Equilibrio che è possibile trovare non in un partito come la Democrazia Cristiana, impossibile da resuscitare, ma in un partito plurale in grado di riscrivere il vocabolario economico, sociale e politico del Paese partendo dai valori dell’antifascismo, dei diritti, della giustizia sociale e dell’uguaglianza. Partito che al momento non c’è. Vincerà chi, pur non avendo casa, saprà gettare le basi per costruirne una nuova.

Una rinnovata voglia di partecipazione

Il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, riguardo all’impegno dei cattolici in politica è stato chiaro, rivolgendo il suo saluto al Papa Francesco a Trieste: «Le debbo dire: dopo questi giorni la voglia è cresciuta, voglia di partecipazione, voglia di rendere migliore questo mondo, di aiutare la democrazia viva del nostro Paese e dell’Europa, non quella del benessere individuale, ma quella del bene comune, che è stare bene tutti. Alle sfide vogliamo rispondere da cristiani. Vogliamo dare frutti di democrazia, cioè di uguaglianza, di diritti e doveri per tutti». Zuppi ha ricordato che i cattolici in Italia non sono una lobby in difesa di interessi particolari e non diventeranno mai di parte perché ha detto: «l’unica parte che amano e indicano liberamente a tutti è quella della persona, ogni persona, qualunque, dall’inizio alla fine naturale della vita».

Gli scenari futuri dopo Trieste

Quali scenari dopo Trieste? È presto per immaginarli, ma c’è una lettera partita dalle Settimane sociali inviata al Paese da Azione cattolica italiana, Acli, Associazione Guide e Scouts cattolici italiani, Comunità di Sant’Egidio, Fraternità di Comunione e Liberazione, Movimento cristiano lavoratori, Movimento politico per l’unità Focolari, Rinnovamento nello Spirito e segreteria della Consulta nazionale delle aggregazioni laicali, che, se non un manifesto – come fu il Codice di Camaldoli elaborato in Italia nel luglio 1943 da un gruppo di intellettuali di fede cattolica tra cui Sergio Paronetto, Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Giuseppe Capograssi – è una buona base di ripartenza affinché la partecipazione diretta dei cattolici nella politica possa tornare ed essere utile per risanare una democrazia come quella italiana che da tempo ha il cuore ferito.


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Il cammino è lungo e ci sarà ancora da lavorare, come ha detto in un’intervista don Matteo Zuppi: «Ci sarà ancora da lavorare sui modi in cui la democrazia dovrà essere nutrita dalla Dottrina sociale della Chiesa. Tanta parte della democrazia italiana è frutto di questa Dottrina sociale, lo è stato nei momenti di difficoltà e a maggior ragione lo può essere ancora per l’Italia e per l’Europa».

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