Avvenire di Calabria

Intervista al sindaco uscente del piccolo centro aspromontano di Sant'Alessio divenuto "modello" di inclusione

Aspromonte, dove l’accoglienza è di casa

Stefano Calabrò: «Dallo Sprar al SAI, ecco l'opera più importante realizzata in 25 anni di carriera amministrativa: ha rivoluzionato la nostra comunità»

di Mariarita Sciarrone

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L’accoglienza diffusa come risorsa per rivitalizzare i paesi, favorendo l’integrazione e la crescita economica. Proponiamo l’intervista a Stefano Calabrò, sindaco uscente del comune di Sant’Alessio in Aspromonte, su un modello vincente che lui stesso ha definito «l’opera più significativa realizzata in venticinque anni di carriera amministrativa».

A Sant’Alessio in Aspromonte l’accoglienza è concreta

Nei suoi venticinque anni di carriera amministrativa, l’esperienza del progetto Sprar per i rifugiati - oggi denominato SAI - è stata quella che lo ha segnato maggiormente. Non ha dubbi Stefano Calabrò, sindaco uscente del comune di Sant’Alessio in Aspromonte, e lo ribadisce più volte durante la nostra chiacchierata.


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«Come amministratori, spesso siamo orgogliosi di opere tangibili come la costruzione di piazze o campi sportivi; per me l’accoglienza diffusa è stata l’opera più significativa che ho potuto realizzare in 15 anni da sindaco e 10 da vicesindaco ». L’emozione traspare dalle sue parole, come quella di un padre che ha visto nascere un figlio fino a renderlo indipendente.

Negli anni si è parlato del modello Sant’Alessio in Aspromonte. Come è nato il progetto SPRAR per i rifugiati nel vostro comune?

Più che di modello Sant’Alessio, preferisco parlare di modello Calabria. In Italia, solo 800 comuni su quasi 8 mila partecipano volontariamente a questi progetti. Il fatto che 114 di questi siano calabresi è un dato che deve renderci orgogliosi. Il progetto è nato nel 2011, inizialmente in partenariato con il comune di Melicuccà per i progetti di accoglienza, rispondendo all’emergenza degli sbarchi continui lungo la nostra costa. Prima ancora, avevo condotto un’analisi sociologica con il Dipartimento PAO della Facoltà di Architettura di Reggio Calabria, studiando la pacifica convivenza di famiglie di diverse etnie e religioni a Sant’Alessio.


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Questa ricerca mostrava come queste famiglie si fossero integrate facilmente nella nostra piccola comunità. L’incontro con il dott. Luigi De Filippis è stato poi decisivo. È stato lui a prospettarmi l’opportunità dell’accoglienza, data la vocazione all’accoglienza che Sant’Alessio riusciva a dimostrare. Da lì è iniziato un percorso virtuoso, che ha dato vita a questa straordinaria esperienza umana e amministrativa.

Quali progetti sono stati realizzati e che ricadute hanno avuto sul territorio?

Il nostro primo progetto, finanziato nel 2013, ha avuto un grande successo e ha posto le basi per le iniziative future. Con l’esperienza maturata, abbiamo avviato un secondo progetto dedicato ai soggetti più vulnerabili, con disagi psicofisici. Il terzo progetto è iniziato con l’emergenza Afghanistan. Questo è stato seguito da un quarto progetto rivolto alle famiglie ucraine, che abbiamo ospitato collaborando con altri enti, poiché Sant’Alessio aveva raggiunto il limite massimo di beneficiari. In questi anni abbiamo messo in campo numerose attività, come percorsi di accompagnamento scolastico, attività sportive, Olimpiadi dell’Accoglienza, tornei di calcio, laboratori, cura del giardino e dell’orto, e pulizia delle strade. Inoltre, abbiamo integrato i beneficiari nei progetti mirati per la raccolta differenziata, facendo sì che non solo ricevessero benefici, ma diventassero protagonisti attivi della nostra comunità.


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Abbiamo dato alla cooperativa un ufficio nel municipio per dimostrare che non c’è distinzione tra i beneficiari e la comunità locale, offrendo la protezione necessaria a chi scappa da luoghi infernali. L’obiettivo principale è stato quello di renderli autonomi e indipendenti, fornendo loro una casa e un lavoro. Questo ha ridato dignità a persone che avevano subito maltrattamenti e persecuzioni. Sentire i loro ringraziamenti, vedere il loro affetto quando decidevano di intraprendere nuovi percorsi è stata una grande soddisfazione. Per far conoscere il progetto e le buone prassi dell’accoglienza in Calabria abbiamo avviato scambi culturali, come il progetto Erasmus. Senza contare tutti i media internazionali che hanno raccontato quanto abbiamo fatto, facendo da cassa di risonanza.

Quali sono i vantaggi dell’accoglienza diffusa?

Innanzitutto, la rivitalizzazione del paese. Abbiamo riaperto otto appartamenti e ora vediamo queste persone vivere con noi, frequentare le scuole, il bar e l’unica bottega di Sant’Alessio. L’accoglienza diffusa ha creato un significativo indotto economico: la cooperativa che collabora con l’ente locale dà lavoro a 16 persone, di cui 67 sono residenti di Sant’Alessio. Questo ha generato un ritorno economico legittimo e legale per l’intera comunità, offrendo anche ai giovani locali l’opportunità di restare a Sant’Alessio. All’inizio c’era preoccupazione, ma anche curiosità, e la comunità ha accolto facilmente persone di etnia e credo diversi, dimostrando di essere grandi dal punto di vista umanitario, pur essendo una comunità piccola dal punto di vista numerico. La presenza di oltre 35 persone accolte non ha destabilizzato l’equilibrio del paese, ma ha portato vitalità e senso di comunità, abbassando l’età media della popolazione. Il nostro progetto ha avuto, inoltre, il vantaggio di essere contagioso: sei dei sette comuni limitrofi hanno attivato un progetto di accoglienza.

In questi anni ha visto e vissute tante esperienze di integrazione. Che bagaglio si porta dietro?

Il legame con le persone che sono andate via dopo l’accompagnamento rimane forte: ci sentiamo ancora tramite social o per telefono. Non è stato, quindi, solo un progetto amministrativo, ma umano e umanitario, che è riuscito a conservare dentro di noi i momenti belli, purtroppo anche qualche momento brutto. Abbiamo affrontato la perdita di alcune persone e ci siamo stretti attorno ai loro familiari. Mi porto dietro la convinzione che ogni amministratore di un territorio debba aprire le porte della comunità a chi scappa da guerre, cambiamenti climatici, povertà, carestie, persecuzioni. A Sant’Alessio l’abbiamo fatto con semplicità. La cosa più bella è stata vedere queste persone protagoniste nelle attività quotidiane e la perfetta integrazione tra culture diverse.

Accoglienza e non solo, come si immagina il futuro del paese di Sant'Alessio?

I progetti di accoglienza non sono l’unica soluzione al contrasto dello spopolamento, ma sono una soluzione. Abbiamo lasciato una grande eredità a chi verrà dopo di noi. Sono convinto che saprà fare tesoro di questa esperienza e sicuramente migliorare l’attività messa in campo. Il mio impegno sociale rimane vivo: a breve verrà attivato un ambulatorio di prossimità che garantirà per tre anni nel comune di Sant’Alessio un infermiere e un’operatrice sociosanitaria, con visite a domicilio per i più deboli.


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Mi dedico con attenzione a chi soffre di più, come malati, anziani e disabili. Sant’Alessio ha fatto da apripista nell’area dello Stretto, gettando le basi per un progetto solido, che sono certo continuerà.

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