Avvenire di Calabria

A Reggio Calabria da circa vent’anni esiste un laboratorio che regala speranza. Qui adulti con diverse disabilità intellettive hanno dato valore alla loro esistenza

Salute mentale, quando il lavoro fa bene: l’esperienza di Artinsieme

Elisa e Nuccio Vadalà co-fondatori di questa iniziativa: «Attraverso la creatività e l’occupazione è possibile offrire prospettive di vita. Il nostro è un modello replicabile»

di Redazione Web

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C’è una realtà a Reggio Calabria nata vent’anni fa su iniziativa di un gruppo di genitori di ragazzi non più in età scolare con disabilità intellettive. In occasione della Giornata mondiale della salute mentale, abbiamo esplorato questa esperienza virtuosa che, affermano i promotori, «replicata e istituzionalizzata», potrebbe aprire nuove prospettive per i progetti di vita degli adulti con disabilità, offrendo inclusione e opportunità lavorative reali. 

Artinsieme: un modello d'inclusione replicabile

Elisa Vadalà è la presidente di questa associazione, nata quasi 20 anni fa con un gruppo di volontari. Tutto è iniziando dalla volontà di dare una prospettiva di impegno ad alcuni giovani che avevano finito il percorso riabilitativo presso il Centro Tripepi Mariotti della Piccola Opera Papa Giovanni. «Era un’esperienza semplice, rustica, con 8 o 9 ragazzi con disabilità. Oggi siamo più strutturati, ed è diventato un ambiente di lavoro vero e proprio.

Ogni mattina - racconta Elisa - i ragazzi vengono qui dalle 8 alle 12, e ciascuno ha una mansione specifica. Per loro è lavoro, ma soprattutto è gratificazione, perché vedono il frutto delle loro mani, il risultato finale e l’apprezzamento delle persone. Si sentono parte di qualcosa di importante»...

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Artinsieme è un’ancora di salvezza per alcuni adulti con disabilità intellettive a Reggio Calabria, che spesso, finita la scuola, si trovano senza alcuna prospettiva. Questo spazio diventa un’alternativa tangibile per esprimere le proprie capacità e, soprattutto, sentirsi utili. «Vivono qui una vita normale», prosegue Elisa, «non si rendono conto della disabilità degli altri, è come una grande famiglia dove si condividono gioie e difficoltà, dove si vive insieme. La bellezza è che il lavoro non è solo un dovere, ma uno strumento di reinserimento sociale».

Lavoro e creatività: per far emerge le competenze

I ragazzi di Artinsieme lavorano in un laboratorio attrezzato con tutti gli strumenti necessari per realizzare prodotti di alta ceramica. Creano bomboniere per matrimoni, prime comunioni, cresime, e anche oggetti decorativi per la casa. Accanto ad Elisa, c’è il marito Nuccio Vadalà, co-fondatore dell’associazione. Sono i genitori di una ragazza con disabilità che partecipa attivamente all’esperienza. «Il lavoro per loro è tutto, perché rappresenta l’impegno e la realizzazione. Noi vediamo in loro una precisione e una costanza invidiabili. Purtroppo, mancano le strutture per trasformare questa attività in un vero e proprio sbocco lavorativo, ma il valore di questa esperienza è già enorme. Questi ragazzi sono pronti a essere inseriti in un contesto produttivo reale», spiega Nuccio. Attualmente, stanno lavorando a manufatti a tema natalizio, con una precisione e una cura incredibili, senza alcuna sbavatura. 


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A guidarli è Daniela, una giovane che, dopo aver svolto il servizio civile, ha deciso di continuare a seguire questi ragazzi ormai adulti. Al suo fianco ci sono anche altri volontari e giovani del servizio civile che offrono il loro supporto.

«La vendita di questi prodotti contribuisce ad autofinanziare il progetto, permettendo all’associazione di continuare la sua missione di inclusione sociale e lavorativa », ancora la testimonianza di Nuccio. Il lavoro qui è una scommessa per superare preconcetti e barriere. In un contesto spesso ancora chiuso all’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, Artinsieme dimostra che è possibile cambiare rotta.


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«Le richieste di inserimento sono tante», ammette Elisa, «ma i nostri spazi sono limitati. Eppure, basterebbe moltiplicare queste esperienze per regalare una prospettiva di vita e di inclusione sociale a tanti altri ragazzi. Dobbiamo avere il coraggio di replicare modelli come il nostro, perché loro sono una risorsa, non un problema». La sfida è far sì che esperienze come questa vengano istituzionalizzate, affinché diventino parte integrante di un progetto di vita per le persone con disabilità. Nel contesto di questa esperienza, emerge inevitabilmente il tema del “dopo di noi”, che affligge molti genitori di adulti disabili.

«C’è scarsa sensibilità sul tema», dice Nuccio, «ma iniziative come la nostra possono aprire nuovi orizzonti, dimostrando che questi ragazzi, una volta valorizzati, possono contribuire in maniera significativa alla società». Una prospettiva che richiede investimenti concreti, ma anche un cambiamento di mentalità. «Siamo noi a dover creare spazi per loro», conclude Elisa, «per far sì che possano esprimere le loro abilità. Il mondo del lavoro ha bisogno di accogliere queste risorse, e noi abbiamo dimostrato che è possibile. Il nostro sogno è che un giorno realtà come Artinsieme non siano l’eccezione, ma la regola».

Genitori: tra sfide e vuoti istituzionali

Essere genitore di un adulto con disabilità intellettiva, come racconta Ernesto Lanzaro, papà di Felice, «è un viaggio fatto di continue scoperte». «Dobbiamo stargli accanto costantemente, supportandolo in ogni cosa possibile, finché ne abbiamo le forze, in ogni aspetto della vita quotidiana», spiega Ernesto.

Se non è una sfida, lo è quasi, soprattutto perché l’aiuto principale alle famiglie proviene spesso dal volontariato, attraverso progetti che coinvolgono i ragazzi in attività lavorative, come nel caso dell’esperienza di Artinsieme. Nella maggior parte dei casi, sono esperienze ristrette, non in grado di soddisfare l’eventuale domanda sul territorio. Esperienze che, seppur preziose, non bastano. Nella testimonianza di Ernesto emerge un senso di solitudine, ma anche un vuoto istituzionale che espone le famiglie a dover affrontare queste sfide quasi esclusivamente contando sulle proprie forze, fin quando è possibile.



La principale preoccupazione di Ernesto, come di molti altri genitori, è il futuro. «Finché siamo ancora in vita», afferma, «possiamo offrire aiuto e protezione ai nostri figli. Poi, dopo di noi, non sappiamo cosa succederà. Aspettiamo che qualcuno si interessi di questo problema principalmente». Questo è un interrogativo che tormenta tanti genitori e che pone al centro il tema della responsabilità sociale e istituzionale. Esperienze che nascono dal volontariato possono, da una parte, servire, «ma la società dovrebbe farsi carico di sostenere i nostri figli anche quando non ci saranno più i genitori a farlo». L’assenza di interventi significativi da parte delle istituzioni rischia di compromettere anche quanto di buono viene fatto a livello riabilitativo o di volontariato. «Certo che dovrebbe rispondere la società», conclude Ernesto. «Fare volontariato può aiutare a colmare alcuni vuoti, quindi invito tutti a farlo, ma aiutare questi ragazzi a sentirsi inclusi e parte della società è dovere di tutti».

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