Avvenire di Calabria

La storia di Miriam Pugliese e della cooperativa Nido di Seta a San Floro a Catanzaro sembra una sorta di film

Nido di Seta, il ritorno al futuro di Miriam: «Dalla Calabria all’alta moda»

Ma non è invenzione: parla di idee e sudore, di difficoltà e inventiva, di voglia di fare e di grandi gratificazioni

di Federico Minniti

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La storia di Miriam Pugliese e della cooperativa Nido di Seta a San Floro a Catanzaro sembra una sorta di film. Ma non è invenzione: parla di idee e sudore, di difficoltà e inventiva, di voglia di fare e di grandi gratificazioni direttamente dalle maison dell'Alta moda.

La storia di Nido di Seta in Calabria, la cooperativa che lavora per l'alta moda

Una storia che assomiglia tanto a un film. Tre ragazzi con tre storie diverse si ritrovano in una piazza di un paese calabrese di 500 anime e decidono di investire tutti i loro risparmi in un’antica tradizione pressoché abbandonata: la gelsibachicoltura. Miriam Pugliese è la vicepresidente della Cooperativa agricola “Nido di Seta”, una realtà calabrese che oggi vende i proprio prodotti a una mason di alta moda. È lei a raccontarci come è stato possibile tutto questo.

Da dove spunta fuori l’idea del baco da seta?

Nido di Seta è una cooperativa agricola fondata sulla gelsibachicoltura a San Floro, in provincia di Catanzaro. La produzione serica in Calabria è particolarmente rinomata: tra il 1400 e il 1700 la regione era la maggior produttrice di seta grezza in Europa. In questa tradizione si inserisce quella di Catanzaro: i primi statuti della seta al mondo sono stati creati proprio qui nel 1519. 

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Una tradizione secolare trasferita al giorno d’oggi. Come?

La nostra cooperativa è formata da giovani che hanno deciso di tornare in Calabria animati da un forte desiderio di fare qualcosa nella nostra terra. Per questo abbiamo pensato alle caratteristiche del nostro territorio, vagliandone le peculiarità: San Floro è un paese che conta meno di 500 abitanti eppure c’era un gerseto di più di tremila piante che versava in stato di abbandono, dove insistevano dei caseggiati anche questi lasciati all’incuria generale. Tutto di proprietà comunale. Sempre nel paese c’era anche un Museo della Seta anch’esso in disuso. La prima mossa che abbiamo fatto è stata chiedere la possibilità di gestire questi siti abbandonati. Non è stato semplice, ma ce l’abbiamo fatta. 

Trasportare l’economia rurale nel 2023 permette di vivere di questo lavoro?

La cooperativa dà lavoro ai tre soci fondatori oltre a sei stagionali. A questi si uniscono otto artigiani del territorio che praticamente lavorano quasi esclusivamente per noi. Dal 2014 abbiamo avviato questo percorso della gelsibachicoltura, l’allevamento del baco da seta il cui processo produttivo necessita della pianta di gelso. Siamo una delle pochissime aziende in Europa che fa solamente questo: siamo focalizzati sulla produzione di seta. Per vivere di questo e creare sviluppo territoriali abbiamo reso questa attività multifunzionale. Ci sono tanti settori, infatti, che ruotano attorno alla gelsibachicoltura.


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Cioè?

L’agricoltura, l’allevamento del baco, la trasformazione legati alle piante di gelso come le more per confetture, liquori e gelaterie oppure le foglie per tisane e cosmetica. Ancora: l’artigianato in quanto abbiamo creato una rete di artigiani sul territorio in cui ognuno è specializzato nella lavorazione di una fase del filato con la finalità di creare un prodotto identitario calabrese. E, infine, un settore per noi molto importante che è quello dell’accoglienza. 

Che è sinonimo di turismo…

Abbiamo reso la seta un’esperienza a trecentosessanta gradi quindi chi viene da noi potrà tessere da antichi telai, estrarre la seta dal bosco e passeggiare lungo in viale di gelsi spettacolare. Per concludere l’esperienza “sensoriale” con la seta abbiamo anche creato un’offerta gastronomica denominata “La seta nel piatto” con la possibilità di gustare tutti i prodotti della filiera. Ogni anno, a San Floro, fuori dalla portata di ogni itinerario turistico tradizionale, arrivano 6.500 visitatori da tutto il mondo.

Siete tre giovani con storie profondamente diverse. Storie di ritorni e di «restanza» per dirlo alla Vito Teti.

Seppure sono nata in Calabria, all’età di un anno ci siamo trasferiti a Varese con la mia famiglia. Sono specializzata in Lingue straniere e il mio background lavorativo si è sviluppato per lo più all’estero in alcune multinazionali. L’ultima esperienza è stata in Germania mi ha fatto vedere la Calabria con occhi diversi su bellezze e tradizioni come valori inestimabili del nostro territorio. Gli altri due ragazzi della cooperativa hanno due storie diverse: Domenico si è laureato (con lode) a Napoli, ma dopo alcune offerte poco allettanti dal Nord ha deciso di tornare in paese per fare qualcosa di importante, mentre Giovanna è un’artista che non ha mai lasciato San Floro. 

Vi piace andare controcorrente. O sbaglio?

Sono cresciuta col mantra che in Calabria «non ci fosse niente». Questo contrastava molto il benessere estremo che vivevo durante le vacanze estive o natalizie dai nonni. Nel 2012 ci siamo ritrovati tutti e tre con la terribile voglia di restare: ci sono voluti tre anni per trovare l’idea giusta e metterla in atto.


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E ai giovani che vedono il partire come unica soluzione cosa dice?

In realtà auguro ai giovani di partire perché devono vedere con occhi diversi la Calabria. Difficilmente si riesce a vedere quelle che sono le nostre risorse perché siamo accecati da quello che ti è stato imposto da anni, cioè che «non c’è niente». Uscire dalla propria zona di comfort ti da consapevolezze. Provocatoriamente dico: «Partite tutti, arricchitevi di conoscenze, però poi tornate. C’è bisogno di tanti giovani che siano come dei boomerang: dove non c’è niente, c’è tutto da fare».

Dalle sue parole nessun atto d’accusa alle storiche e ataviche lentezze della Calabria. Vi è andato tutto bene?

Attenzione, le difficoltà ci sono e non si tratta di cercare alibi. Per ottenere la convenzione col Comune di San Floro ci abbiamo messo un anno, lavoriamo all’interno di una pineta dove la strada ogni anni va rifatta perché viene travolta dalle acque piovane; abbiamo avuto l’energia elettrica dopo 7 anni dalla nostra apertura. Aggiungo: potremmo avere molte più certificazioni di qualità, ma non possiamo ottenerle perché il personale dedicato non conosce l’iter burocratico per raggiungerle. Non sono alibi, ma con la forza della volontà si possono superare. Noi ne siamo un piccolo esempio: siamo figli di nessuno, non abbiamo ricevuto nessun finanziamento pubblico e abbiamo attinto esclusivamente ai nostri risparmi o al regalo di qualche nonno eppure ce l’abbiamo fatta. La nostra seta viene venduta in esclusiva per una grandissima casa di moda: un prodotto artigianale è passato dalle campagne alle passerelle internazionali.

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