Avvenire di Calabria

Inaugurazione del quarto anno accademico dell’Istituto Superiore di Teologia e Pastorale San Giovanni XXIII

Mons. Milito: «Uscire dall’individualismo, fonte di tristezza»

Redazione Web

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di Katy Galati * - «La chiesa deve abbandonare il comodo criterio che si è fatto sempre così». Sono alcune delle parole che monsignor Francesco Milito, Vescovo di Oppido Mamertina – Palmi, ha usato durante la sua prolusione sulla prima esortazione apostolica di papa Francesco, Evangelii Guadium (La gioia del Vangelo), che ha letto alla luce della teologia (Parola di Dio) della storia, di oggi, per l’inaugurazione del quarto anno accademico dell’Istituto Superiore di Teologia e Pastorale San Giovanni XXIII. 
Alla presenza di molti studenti, laici e presbiteri, il direttore dell’Istep, don Mimmo Caruso, ha introdotto la cerimonia di inaugurazione spiegando i motivi per cui è stato scelto un tema come quello della lettura teologica della storia. «Inquadrare il cammino della storia anche con categorie teologiche consente di disegnare, tratteggiare, anche se in modo sommario, lo sviluppo degli avvenimenti storici in modo da farci comprendere meglio la situazione presente e darci qualche arma in più per affrontare con profitto la sfida della nuova evangelizzazione», ha affermato don Caruso, soffermandosi sull’azione di Dio nella storia, «protagonista assoluto delle vicende storiche dell’uomo», e citando il celebre abate benedettino dell’Ottocento, don Prosper Guéranger, il quale apriva il suo libretto intitolato “Il senso cristiano della storia”, con queste parole: «Come per il cristiano non esiste una filosofia a sé stante, così non esiste per lui neppure una storia puramente umana. L’uomo è stato chiamato da Dio a un destino soprannaturale. Questo è il suo fine. La storia dell’umanità deve offrirne testimonianza». 
 
Il direttore ha continuato il suo intervento, scandendo che «la storia deve pertanto essere cristiana, se vuole essere vera, perché il cristianesimo è la verità completa. Qualsiasi sistema storico che prescinda dall’ordine soprannaturale nell’esposizione e nell’interpretazione dei fatti, è un falso sistema che non spiega nulla e che lascia la storia dell’umanità nel caos e nella contraddizione permanenti, con tutte le idee che la ragione elabora circa il destino della nostra specie su questa terra. L’umano ed il divino coesistono nel tempo e nella storia e possono cooperare e sono entrambi elementi imprescindibili per ogni analisi storica che voglia essere completa». Lo stesso ha ricordato anche Paolo VI, quando in un discorso pronunciato in Francia, disse : «Intendiamo per storia prima di tutto l’arte di scoprire il corso e l’intreccio degli avvenimenti umani e di fissarne il ricordo in modo oggettivo». E proseguiva così: «Gli avvenimenti stessi sono pieni di misteri interessanti da indagare e sono sovente il risultato di numerosi e diversi fattori. Essi si presentano a noi sotto forma di geroglifici indecifrabili, e il numero e la varietà dei coefficienti che li costituiscono formano ciò che si è convenuto di chiamare il quadro storico. L’uomo non è il solo attore che domina il corso delle vicende umane, esse sono dominate anche da un altro fattore per noi imponderabile ma sicuramente superiore, decisivo per il disegno definitivo della storia umana: si tratta dell’azione di Dio, della provvidenza, la cui vera presenza nel tempo e fra gli uomini rende la storia un mistero». 
 
Don Mimmo Caruso ha poi continuato, spiegando che «l’elemento umano e quello soprannaturale possono collaborare oppure entrare in conflitto. È un po’ esperienza comune di ciascuno di noi, che ci conferma che il male è presente nella storia e vi sono forze soprannaturali ed umane che si oppongono alla regalità sociale di Cristo». Partendo da questa considerazione sull’azione persistente ed insidiosa del male nella storia, il presbitero Caruso ha citato il teologo domenicano padre Calmel, ponendo alla platea i suoi stessi interrogativi: «Qual è la ragione della durata nel tempo e della successione dei secoli? In altre parole: perché la storia? Quale scopo hanno – si chiede ancora questo autore – la continuazione della storia, le prove e le vittorie della Chiesa, gli sforzi della cristianità? Una riflessione teologica ci porta rapidamente a concludere che lo scopo di tutto questo è il compimento del Corpo Mistico, cioè per il bene degli eletti, affinché la Santa Chiesa raggiunga la sua perfezione ultima per il numero emerito dei suoi figli, affinché i doni inesauribili del Cuore di Gesù siano testimoniati dai santi fino al giorno in cui il Signore, una volta consumata la fedeltà della Chiesa nelle prove della fine dei tempi, farà cessare la storia e introdurrà la sua Sposa nella Gerusalemme celeste e imprigionerà lo spirito del male e i suoi fautori nello stagno eterno di fuoco e zolfo, nel luogo della “seconda morte”, come dice il libro dell’Apocalisse». Dunque questo, è in una prospettiva di teologia della storia, il senso della storia umana. Don Caruso ha concluso con il grande Sant’Agostino, che nella più importante opera di teologia della storia mai scritta, “La Città di Dio”, descrive le forze che si contendono il primato sul palcoscenico della storia. «Due amori dunque diedero origine a due città: alla terrena l’amore di sé fino all’indifferenza (disprezzo) di Dio, e alla celeste, l’amore di Dio fino all’indifferenza (disprezzo) per sé. Inoltre, quella sì gloria in sé, questa, nel Signore. Quella infatti esige la gloria dagli uomini; per questa la più grande gloria è Dio, testimone della coscienza». E con San Bonaventura, il quale scrisse che «lo svolgersi degli avvenimenti non si sviluppa casualmente, ma nasconde in sé luci e intelligenze spirituali». 
 
Monsignor Francesco Milito, ha coinvolto e portato i presenti nel cuore dell’Evangelii Gaudium, scandendone la sua contemporaneità, dandone una lettura come un testo di teologia della storia presente e come una pista per affrontare la nuova evangelizzazione. A tal proposito, il vescovo Milito, ha chiarito il significato di teologia, «Parola di Dio», aggiungendo che «Dio è oggetto e soggetto di questa scienza che ci porta necessariamente alla storia della chiesa e del mondo, perché la teologia è Parola del mondo», e spiegando che questo complesso dottrinale si è formato lentamente. «Non è esistita una teologia organizzata, è esistito Gesù Cristo che ha dato vita alla Sua Parola, che è stata presa come punto di partenza e di confronto, ed è in costante sviluppo. La teologia della storia ha l’uomo come punto di partenza, l’uomo nel tempo». Dopo questa premessa monsignor Milito ha aperto la sua lezione inaugurale su alcuni capisaldi del documento. Teologia della gioia. «La stessa parola Vangelo porta in se la bellezza della gioiosa notizia, che ha radici in Paolo VI. Teologia del mistero pasquale. «Gesù è risorto, questo è il fondamento del cristianesimo, finché in ciascuno di noi questo mistero non ha la supremazia stiamo perdendo tempo, se tutto ciò che facciamo non esprime il mistero pasquale non serve a niente». Teologia della comunicazione. «Se la gioia nasce dal Vangelo, ci deve essere un modo per comunicarlo, bisogna parlare e ascoltare la gente, la teologia è sì rivelazione ma è anche percezione. Per elaborare questo documento, il papa, infatti, è partito, da questo contesto, dalla radiografia delle persone di oggi, visto che oggi, la Parola di Dio, non sempre è accettata, o meglio, è respinta, e adattata come significato. Il papa insiste sulle sfide pastorali che vanno in un’unica direzione, che la chiesa ha dimenticato, la chiesa è per l’uomo, il cristiano è vittima della tristezza individualistica dei nostri tempi, della ricerca malata di piacere, di uno stile di quaresima senza pasqua, il superamento è nell’incontro con la persona che risorge. La vita cristiana è la vita che nasce da un incontro con una persona che si chiama Gesù e ci sconvolge Papa Ratzinger», ha ricordato il presule Milito, sottolineando che «il bene non può essere mai contenuto in una bottiglia sigillata, deve essere comunicante». Teologia della missione, tema caro a papa Francesco e la più grande sfida della chiesa. Al riguardo, il vescovo Milito, si è soffermato più a lungo, ricordando che «il papa ha usato una figura retorica, quella dell’ossimoro, per dire che la chiesa è spesso silenzio assordante, mentre deve diventare decentralizzazione. L’E.G. – ha continuato il presule - è lo sviluppo di questa teologia con un preciso fine quello di delineare un determinato stile di evangelizzazione volto a ciò che è periferico e vive ai margini. Nella missionarietà il papa vede la risposta del Vangelo, una missione non stazionaria». Monsignor Milito, ha poi lanciato un ammonimento ai laici della sua diocesi per una chiesa attenta ai tempi della storia. «Anch’essa deve convertirsi al cambiamento, e deve essere una chiesa in uscita, con le porte aperte in tutti i sensi, i tempi sono diversi, oggi siamo chiamati ad essere audaci e creativi, a ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile, l’espressione della Verità, il modo di esprimere la Verità, il rinnovamento delle forme di espressione per trasmettere all’uomo di oggi l’evangelizzazione, ogni insegnamento della dottrina deve situarsi nell’atteggiamento e nell’adesione del cuore, ci sono norme e precetti ecclesiali che sono stati trattati bene in altre epoche bene, ma oggi? Cerchiamo di evitare un eccesso diagnostico, studiamo i segni del tempo, comprendendo quali siano le sfide culturali attuali, per far fronte agli attacchi alla libertà religiose, alle persecuzioni dei cristiani, al rigidismo contro lo spiritualismo, alla secolarizzazione della fede della chiesa, alla deformazione etica, al progressivo accentuarsi morale, io sono il Dio di me stesso, al peccato nascosto che ha sempre un impulso sociale, perché ne indebolisce le difese, all’individualismo post moderno che destabilizza i legami tra persone e familiari. Queste sono le sfide che il papa raccoglie, la fede in Dio deve diventare cultura, e per far questo abbiamo bisogno di conoscere meglio la nostra cultura». Su questa ultima sua affermazione, il vescovo Milito ha lasciato un forte interrogativo per provocare l’ingegno del suo laicato: «Nella nostra chiesa il laicato è tutto alla stessa altezza?». 
 
Al termine della prolusione di sua eccellenza milito, il direttore dell’Istep don mimmo caruso ha presentato il LOGO dell’istituto, realizzato graficamente da Simona Surace con la collaborazione dei presbiteri Domenico Lando e Letterio Festa e della segretaria Rosetta Vaticano. 
Un LOGO composto da segni che racchiudono i misteri della chiesa, attraverso i quali l’istep intende formare i suoi studenti, partendo dal simbolo dell’amore rappresentato da una t stilizzata che forma una croce, la cui parte inferiore è un’ancora di speranza e di salvezza, insieme, modellano una barca in navigazione, emblema della chiesa. dall’albero maestro si dirama una vela, che insieme alla nota, allegoria dei suoni che abitano la città terrena e la città celeste e dell’armonia tra uomo e uomo e tra uomo e dio, indicano la presenza della Scuola diocesana di musica per la Liturgia diretta dal maestro Lando, una realtà che ha voluto monsignor Milito, l’insieme plasma la P come pastorale e T come teologia, inoltre, la presenza del tetragramma, che rappresenta le quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, si incontrano con le sfumature del colore blu, allegoria della prima virtù teologale, la fede, e del colore oro, il colore della regalità di Cristo.
 
* Calabria Ecclesia

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