Avvenire di Calabria

Tra i doveri del parroco quello di stare accanto a chi soffre e «non sente la presenza del Signore»

Malattia, un Dio che tende la mano

Francesco Megale

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Tra le opere di carità più belle e più importanti di un parroco, c’è sicuramente quello della Consolazione, quello cioè del prendersi cura della persona inferma, della sua “Salute”.

Con il termine “Salute”, intendiamo la salute della persona umana considerata in tutte le sue dimensioni: corporale, morale, spirituale e sociale. Prendersi cura, stare accanto, consolare, guarire, sono solo alcune delle espressioni che vengono usate nell’ambito della Pastorale della Salute. Termini che indicano le azioni che devono compiere tutti gli operatori ai quali è affidato in modo speciale questo servizio. Chi ha la vocazione a stare accanto al malato, infatti, sa che deve farlo cercando di imitare il più possibile l’atteggiamento di Gesù. Pensiamo all’episodio del lebbroso. La lebbra era considerata figlia primogenita della morte e chi ne era affetto era un maledetto, un marginalizzato, isolato da ogni rapporto sociale, ed escluso addirittura dal regno di Dio. Il lebbroso sapeva che per lui non c’era nessuna possibilità di accesso a Dio. Ma l’incontro con Gesù risveglia il desiderio di uscire dalla sua misera situazione. La sua supplica – «se vuoi puoi purificarmi» – manifesta che non cerca tanto la guarigione del male fisico, quanto la purificazione da ciò che, secondo la legge, gli impedisce di essere in relazione con Dio. Nonostante l’obbligo di vivere in luoghi appartati, quest’uomo osa avvicinarsi a Gesù, in ginocchio, temendo un Dio che ancora lo rifiuta per il suo stato di impurità. Questo lebbroso senza nome è immagine di ogni uomo che, pur avendo nostalgia della relazione con Dio che fonda ogni relazione nutre ancora la false immagine di un Dio perfido e mostruoso. Ma Gesù è il Figlio del Padre: di fronte alla miseria dell’uomo si commuove con amore tenero. Fa uscire il lebbroso della sua situazione di isolamento, lo ha fatto sentire persona, non solo oggetto di attenzione, ma soggetto attivo di evangelizzazione. In questa immagine è racchiusa anche l’opera misericordiosa di ogni parroco che ha a cuore gli ammalati, nuovi poveri delle comunità. Infatti, tante sono le persone che soffrono perché si sentono abbandonate da Dio perché Egli non esaudisce le loro richieste di guarigione. Molti sono anche gli ammalati che soffrono la solitudine, costretti a passare la maggior parte del loro tempo da soli perché nessuno, neanche i familiari, trova tempo per loro.

Per fortuna, nelle nostre comunità, vediamo anche tante belle testimonianze, che ci arricchiscono sia umanamente che spiritualmente. Si tratta di quei fratelli ammalati che hanno avuto la fortuna di trovarsi in una famiglia unita, dove si tocca con mano la presenza del Signore. Si tratta di quei fratelli, che riescono a trasformare la sofferenza, in sorgente di Grazia, in strumento di salvezza. Sono coloro che, crocifissi con Cristo, continuano nel loro corpo i patimenti di Gesù. La parrocchia pur rimanendo il luogo privilegiato in cui il Signore, grazie a tutti i battezzati, continua ad operare, deve essere attenta a tutte i luoghi in cui sono ospitati i fratelli ammalati: ospedali, case di cura, carceri, e soprattutto tra le mura di una casa. Ecco perché è urgente ribadire la necessità di una maggiore presenza di noi sacerdoti e di operatori in questi luoghi. È urgente trovare, nelle nostre comunità, laici maturi nella fede, disposti a sacrificare gratuitamente il loro tempo. Volontari che non vanno alla ricerca di gratificazioni umane, ma che siano compassionevoli e pieni di amore come Gesù; capaci di regalare sorrisi, carezza e far percepire con questi gesti pienamente umani, la presenza amorevole di Dio Padre, per il quale la sofferenza ha sempre trovato accoglienza e il dolore non è mai stato di disturbo.

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