Avvenire di Calabria

È quanto emerge dall'analisi dei dati proposti dall'ultimo rapporto sul fenomeno redatto dalla CGIA (Confederazione Generale Italiana dell'Artigianato) di Mestre

Calabria: record di lavoratori in nero

La regione detiene anche il primato negativo per quanto attiene al caporalato. Il sommerso e l'irregolare sono fenomeni tuttavia in crescita anche al Nord

di Redazione Web

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È la Calabria, con il 19,6 per cento di lavoratori in nero in rapporto al totale degli occupati e a fronte del dato medio nazionale che è dell'11,3%, la regione dove si registra in Italia la presenza più alta di occupazione irregolare (117.400 unità) nel sud.

Un podio, in negativo, condiviso con la Campania, seconda, che tocca il 16,5 per cento, e la Sicilia, terza, con il 16 per cento. È quanto stima un'analisi condotta dall'Ufficio studi della Cgia (Confederazione Generale Italiana dell'Artigianato) di Mestre su dati del 2021.

Volume d'affari del lavoro irregolare

Ammonta a 68 miliardi di euro il volume d'affari annuo riconducibile al lavoro irregolare presente in Italia. Il 35 per cento circa di questo valore aggiunto prodotto dall'economia sommersa è ascrivibile alle regioni del sud. Le persone coinvolte nel nostro Paese dall'economia sommersa sono poco meno di 3 milioni e anche in questo caso è il Mezzogiorno la ripartizione geografica del Paese che presenta la percentuale più elevata: ovvero il 37,2 per cento del totale.

Ripartizione regionale e settoriale

L'analisi indica in circa 68 miliardi di euro il volume d'affari annuo riconducibile al lavoro irregolare nel Paese, di cui 23,7 miliardi nel Mezzogiorno, 17,3 nel Nordovest, 14,5 nel Centro e 12,4 nel Nordest. In Calabria si parla di 2,5 miliardi di euro.


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Se misuriamo l'incidenza percentuale di questo ammontare sul valore aggiunto totale regionale, la quota più elevata, pari all'8,3 per cento, interessa ancora la Calabria, seguita dalla Campania con il 6,9 per cento e dalla Sicilia con il 6,6 per cento. La media nazionale è del 4,2 per cento.

Dei 2.848.100 occupati non regolari stimati in Italia dall'Istat, 1.061.900 sono ubicati nel Mezzogiorno, 691.300 nel Nordovest, 630.000 nel Centro e 464.900 nel Nordest. Se calcoliamo il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero degli irregolari e il totale occupati per regione, la presenza più significativa si registra sempre nel sud e, in particolare, in Calabria con il 19,6 per cento. Seguono la Campania con il 16,5 per cento e la Sicilia con il 16 per cento. Il dato medio Italia è dell'11,3 per cento.

Il fenomeno, tuttavia, riporta l'analisi della Cgia, è esteso anche al Centronord e ha una presenza record soprattutto nel settore dei servizi alle persone (colf, badanti, etc.). Il tasso di irregolarità di questo settore raggiunge il 42,6%. Al secondo posto scorgiamo l'agricoltura con il 16,8% e al terzo le costruzioni con il 13,3%.

Settori maggiormente interessati

I 3 milioni di unità di lavoro standard (ULA) presenti in Italia che esercitano un'attività lavorativa in palese violazione delle norme fiscali, contributive e in materia di sicurezza, “provocano” un tasso di irregolarità del 12,7 per cento. Gli altri servizi alle persone sono il settore che “annida” il maggior numero di irregolari: precisamente poco più di un milione di ULA che dà luogo a un tasso di irregolarità di questo settore pari al 42,6 per cento. Tra i comparti più interessati dal lavoro nero scorgiamo l'agricoltura che, secondo l'elaborazione realizzata dall'Ufficio studi della CGIA, presenta un tasso di irregolarità del 16,8 per cento (205.800 ULA). Di seguito scorgiamo le costruzioni con il 13,3 per cento (220.200 ULA) e il commercio, trasporti, ricettivo con il 12,7 per cento (691.700 ULA).


PER APPROFONDIRE: Lotta al caporalato, resta alta l’attenzione nella Piana di Gioia Tauro


L'analisi si sofferma anche sul fenomeno dello sfruttamento e del caporalato che interessa le categorie sociali più fragili, come le persone in condizione di estrema povertà, gli immigrati e le donne. Tra le realtà a maggiore incidenza del fenomeno si cita la Piana di Gioia Tauro assieme all'Agro Pontino, al Nocerino-Sarnese, a Villa Literno e alla Capitanata di Foggia.

Il controllo delle organizzazioni criminali

Dopo la crisi economica provocata dalla pandemia, in alcune aree del paese pezzi importanti dell'economia sono passati sotto il controllo delle organizzazioni criminali di stampo mafioso che, agli imponenti investimenti economici, hanno affiancato l'uso della violenza, delle minacce e del sequestro dei documenti per “conquistare” il favore di ampie masse di lavoratori, soprattutto stranieri. L'applicazione di queste coercizioni ha trasformato tante sacche di economia sommersa in lavoro forzato, facendo scivolare all'interno di questo girone infernale anche molti italiani che si trovavano in condizioni di vulnerabilità.

Proposta della CGIA di Mestre per superare lavoro nero e caporalato

«Stop al monopolio di pochi grandi». La tragedia che si è consumata la settimana scorsa nelle campagne dell’Agro Pontino è sicuramente figlia dello sfruttamento e delle pratiche schiavistiche praticate dagli imprenditori agricoli di quella zona. Sfruttando lo status irregolare dei migranti, gli imprenditori coinvolgono i lavoratori senza garantire contratti regolari, pagando salari bassi e innescando una serie di problemi legati all’alloggio, ai trasporti e ai servizi sociali.

Tuttavia, non va dimenticato che spesso queste condotte criminali sono indotte, non solo al sud, dalla struttura del mercato agroalimentare che, spesso, è monopolizzata da poche imprese della grande distribuzione che continuano a spremere i piccoli agricoltori, che per rimanere sul mercato sono costretti a ridurre gli stipendi della manodopera, alimentando così ancor più il sistema del caporalato.

Nonostante l’Italia abbia recepito la direttiva UE contro le pratiche commerciali sleali e le vendite sottocosto, la grande distribuzione continua a mantenere i listini fermi nonostante i rincari, mettendo in grave difficoltà tanti piccoli produttori.


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La Cgia di Mestre ricorda, infine, che la legislazione italiana ha escluso dal campo di applicazione i conferimenti dei soci nelle cooperative e le cessioni di prodotti agricoli e alimentari alle organizzazioni di produttori. Questo vuol dire che «chi trasferisce le sue derrate alla cooperativa o all’organizzazione dei produttori non può contare sulle tutele previste dalla legge rispetto ai tempi di pagamento e contro le vendite sottocosto».

Quindi, la proposta, «oltre a modificare la legge nazionale includendo anche questi soggetti tra coloro che non possono tenere pratiche commerciali sleali, bisogna incentivare l’attività ispettiva, garantendo, nel contempo, un forte aumento degli investimenti pubblici nel settore del trasporto e soluzioni abitative temporanee che consentano a queste persone una vita dignitosa».

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