Avvenire di Calabria

Don Valerio Chiovaro ci aiuta a scoprire come il Signore vive una situazione simile a quanto ci è chiesto

La nostra quarantena: «camminare» con Gesù nel deserto

Valerio Chiovaro

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Le domande di senso, la paura, le preoccupazioni ci spingono in una sorta di deserto, ma la quarantena, in fondo, non è questa quaresima? Entriamo nel senso dei quaranta–giorni dalla porta del vangelo di Luca, lasciandoci spingere anche noi dallo Spirito nella forza della Parola. «Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo», scrive l’evangelista. Così Luca introduce la pagina della “quarantena” di Gesù. Da subito notiamo tre passaggi: pieno di Spirito/ guidato dallo Spirito; si allontana dal Giordano/ entra nel deserto; è tentato lungo quaranta giorni dal diavolo.

Pieno di Spirito/ guidato dallo Spirito.
I quaranta giorni sono carichi di compagnia. Non si tratta di una esperienza spirituale banalmente intesa come qualcosa di alternativo, completivo della dimensione della materia. Nella Scrittura (e nella vita) non ci sono dicotomie. La vita –la materia stessa– è un unico. La dimensione dello spirito è la dimensione che ci spinge fuori da noi, verso la compagnia dell’altro–da–noi e del tutt’Altro da noi. Qui, nel deserto vi è una compagnia speciale: lo Spirito, il Consolatore, l’Energia di Dio; il Dio– che–fa, lo Spirito che feconda. È lo Spirto che guida, che ci spinge. Non solo ad entrare nel deserto, Lo Spirito ci spinge anche lungo la fatica del cammino. Ed in fondo il cristiano non è l’uomo toccato, pieno–di–Spirito? Dobbiamo tornare a questa consapevolezza e, forse, ogni quarantena potrà essere una buona occasione. Nel deserto non siamo soli, lasciamoci guidare dallo Spirito. Verrebbe da dire: «Riempici Signore del tuo Spirito, guidaci lungo il deserto».

Si allontana dal Giordano/ entra nel deserto.
Gesù si allontana dal Giordano, il luogo dell’incontro, del battesimo, dei miracoli, delle chiamate, della voce di Dio. Ancor prima il luogo della ascesa di Elia. Si allontana da ed entra nel deserto. Questo, ovviamente, più che un luogo è una esperienza, una memoria, una nostalgia–mai–da– perdere, un muoversi dalla schiavitù verso la promessa. Dal deserto non si scappa, nel deserto si entra, ci si lascia guidare. Il deserto non è in agguato fuori di noi, è nella nostra storia, è parte della nostra storia e solo in esso meglio ci ri–conosciamo. Solo che nel deserto non entriamo, abbiamo paura della paura di una solitudine vuota. Ecco che la vita ce lo impone, e lo Spirito ci accompagna. Perché il cristiano non vive solitudini vuote. Il deserto è quel luogo–non–luogo dell’anima dove materia e Spirito si fondono. Già, il silenzio si con–fonde con la parola e la parola diventa silenzio. Così è nella lingua ebraica dove il vocabolo deserto/mdbr, contiene il vocabolo parola/ dbr. Verrebbe da dire: «Signore, aiutaci a vincere la paura che la nostra solitudine sia inabitata. Tu sei Parola che nel deserto parla. Apri la nostra vita all’ascolto, anche del tuo silenzio».

Per quaranta giorni «tentato». 
Il luogo–non–luogo è anche dentro il tempo–non–tempo: i quaranta giorni. Il numero quaranta è già interno alla parola ebraica deserto/mdbr, infatti la consonate ebraica m ha valore numerico di quaranta. Il quaranta nella cultura ebraica ha un grande significato: rappresenta il cambiamento; il rinnovamento, una nuova nascita, una ulteriore ri–nascita. Ad esempio, il rito di purificazione consisteva nell’immersione in un bagno rituale riempito da quaranta misure di acqua.
Dopo la purificazione si rinasceva. Ma anche la pena dei quaranta colpi (quaranta meno uno, per evitare di sbagliare e darne uno in più) che veniva inflitta ai colpevoli, era un modo per provocare un cambiamento, per farli rinascere.
Nella Scrittura tanti sono i riferimenti al quaranta: i quaranta giorni del diluvio, i tre cicli di quaranta anni della vita di Mosè; la permanenza di Mosè sul Sinai, i quaranta anni del popolo nel deserto. Tutti conservano lo stesso significato: un tempo di passaggio, di rinascita in un nuovo stato spirituale, un tempo di purificazione lungo il quale, in qualche misura, ci riformiamo. Infatti, secondo il Talmud, quaranta giorni è il tempo necessario perché un embrione si formi nel ventre della madre. Dentro l’utero del deserto fecondato dallo Spirito rinasciamo come nuove creature. Ecco un modo sapiente di vivere la quarantena. Ma non è una gestazione facile. Lungo i quaranta giorni Gesù viene tentato dal diavolo, dal “separatore”, da “colui che rompe” (questo è il significato etimologico di diavolo). E’ lungo la fragilità del nostro cambiamento che i processi disgregatori hanno maggiore presa. E’ lungo il cammino del rinascere che le sbandate sono più frequenti. Ed è per questo che, in tali momenti, non bisogna cedere alla tentazione del “separatore”. Alla grande tentazione “se sei figlio di Dio”, che mina alla radice la relazione col Padre e ci riduce alla convinzione di poter fare tutto da soli… di essere soli nella nostra solitudine.
Verrebbe da dire: «Aiutaci Signore a vincere la tentazione di poter fare tutto da soli». Ecco allora indicazioni e parole perché la nostra quarantena sia biblicamente ispirata. Coraggio chi ci separerà dall’amore di Cristo?

Diamoci tempo per camminare in questo deserto, nella nostra solitudine abitata, nel nostro rinascere continuamente per la grazia donata, per l’amore che circola più diffusamente di ogni ansia. Diamoci occasione per rinascere nei rapporti dati per scontato, nelle distanze tra prossimi, nei dialoghi non detti, negli abbracci negati, nei baci rubati.
Diamoci tempo, perché anche questo #iorestoacasa sia un’occasione di rinascita.

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