Avvenire di Calabria

Le nuove tecnologie stanno trasformando il mondo dell'informazione. Quale sarà il ruolo dell'uomo in un futuro dominato dall'Ai?

L’intelligenza artificiale e giornalismo, Giovanni Tridente spiega cosa cambia e cosa no

Il giornalista e docente dell'Università Università della Santa Croce parla di nuove sfide e delle "sinergie" con le macchine

di Davide Imeneo

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Le nuove tecnologie stanno trasformando il mondo dell'informazione. Quale sarà il ruolo dell'uomo in un futuro dominato dall'Ai? Il giornalista e docente della Pontificia Università della Santa Croce Giovanni Tridente approfondisce il tema in questa intervista esclusiva rilasciata al nostro settimanale Avvenire di Calabria, spiegando come l'intelligenza artificiale è entrata nelle redazioni.

Intelligenza artificiale e giornalismo: parla Giovanni Tridente

L’Ai arriva in redazione: cosa cambia nelle “cucine” dei media locali, nazionali e internazionali? Le applicazioni di intelligenza artificiale prenderanno il posto del personale giornalistico? Ne abbiamo parlato con Giovanni Tridente, docente presso la Facoltà di Comunicazione Istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce e direttore della Comunicazione dello stesso Ateneo. «Credo che una delle caratteristiche che segneranno il lavoro del giornalista riguarderà il creare una “sinergia” con questi strumenti, con queste innovazioni tecnologiche» esordisce il professore Tridente.

📹Guarda la video intervista con Giovanni Tridente 👇

«La sinergia consiste – prosegue il docente – nel conoscere bene il funzionamento di questi artefatti evoluti, il funzionamento di queste macchine e trovare anche le forme, i modi, le modalità affinché aiutino a migliorare anche il lavoro. Pensiamo ad esempio a tutte quelle “fasi meccaniche” e ripetitive che l’intelligenza artificiale generativa può assumere nel processo di realizzazione di una produzione giornalistica. Fermo restando, in questo, la centralità del professionista, che deve sempre monitorare la lavorazione, in modo da mettere la sua professionalità al servizio del prodotto definitivo, che dovrà per forza di cose uscire dalle sue mani. Guai a delegare esclusivamente alla macchina il lavoro giornalistico; mancherebbe quell’elemento fondamentale che è proprio la capacità di gestire il contesto, che in effetti appartiene sostanzialmente al lavoro primordiale di qualunque giornalista». 

Dal punto di vista etico e deontologico quali risvolti ci sono? 

Il giornalista si deve porre queste questioni cosiddette etiche nel momento in cui si fa aiutare dalle macchine. Per cui, un lavoro giornalistico abilitato e potenziato dall’utilizzo delle macchine tiene conto del risvolto effettivo di ciò che viene immesso come “prodotto informativo” nella società. Mi spiego meglio. Se io mi faccio aiutare da una macchina e non lo dico al lettore, sto mancando di trasparenza, oltre alla sensibilità professionale.



Se utilizzo uno strumento e lo spiego, sto dimostrando invece una sorta di presa di responsabilità. Quindi i vincoli etici, i vincoli antropologici che un giornalista ha di fronte quando si fa aiutare dalle macchine sono quelli di rendere conto anche in maniera trasparente dell’utilizzo che ne ha fatto, poiché gli obblighi di lealtà che abbiamo come professionisti nei confronti del lettore rimangono immutati. E questo è solo un esempio. 

Come sarà possibile tutelare il giornalismo “fatto a mano”? 

Tornare a fare a mano qualcosa che abbiamo sempre fatto riguarda in estrema sintesi la possibilità di contestualizzare meglio ciò che accade intorno a noi, scavare nelle storie, nei vissuti e questo lo potrà fare soltanto un individuo in carne ed ossa che ha anche una sensibilità, un’empatia, e quella capacità di - come dice Papa Francesco -, «consumare le suole delle scarpe», perché può andare in quei luoghi dove l’informazione accade, dove le storie si verificano. La macchina farà un lavoro di “abbellimento”, potremmo dire “stilistico”, ma mancherà sempre di quella capacità di “far parte” delle storie con la propria relazionalità, ad esempio ascoltando il vissuto dei protagonisti delle storie.


PER APPROFONDIRE: Giornalismo e intelligenza artificiale, Papa Francesco benedice l’iniziativa di Avvenire di Calabria


Allora, tornare a sporcarsi le mani nel giornalismo rappresenta, ancora una volta, proprio una delle caratteristiche e una richiesta che ci viene dall’avvento dell’intelligenza artificiale. Le macchine, di fatto, non potranno mai occuparsi direttamente di ciò che riguarda la vita delle persone in carne ed ossa. 

Quale può essere il corretto approccio di una redazione e dei giornalisti nei confronti dell’Ai? 

Approcciarsi adeguatamente a questa innovazione tecnologica da parte di una redazione giornalistica significa innanzitutto superare una sorta di pessimismo di base che può venire a galla nel momento in cui ci troviamo di fronte a qualcosa che ancora non conosciamo. Dunque, questo pessimismo si supera innanzitutto attraverso la conoscenza. Come giornalisti la conoscenza è un qualcosa che ci portiamo dietro e che è vincolata alla nostra sensibilità professionale. E allora, innanzitutto conoscere questi strumenti, conoscere come funzionano, conoscere anche gli effetti che producono sia nell’ambito professionale sia nella società tutta, in modo da poterli poi raccontare questi effetti, e poter raccontare adeguatamente gli utilizzi che si hanno a disposizione. Direi inoltre che c’è bisogno di una sorta di creatività. Anche la creatività appartiene endemicamente alla professione giornalistica. Bisogna essere creativi nella maniera di poter utilizzare queste tecnologie per come migliorano il nostro lavoro, e come migliorano il racconto delle storie che i lettori o gli ascoltatori si aspettano da noi. Conoscenza, creatività e poi di fondo ci vuole una sorta di responsabilità che consiste, come anche abbiamo accennato prima, nello svolgere responsabilmente il proprio lavoro, ma anche assumersi l’onere di offrire le primizie, di continuare a offrire le primizie in questo nostro racconto della realtà. 

Anche la comunicazione umana (e quindi le relazioni) saranno influenzate dall’Ai? 

Chi svolge un ruolo educativo in che modo deve “attrezzarsi” per continuare ad educare al tempo dell’Ai?Come sappiamo l’intelligenza artificiale avrà un’influenza sempre maggiore anche nelle relazioni umane, perché permetterà a volte di sostituire alcuni contesti, alcuni elementi di relazionalità. Al tempo stesso chiama in causa tutto l’ambito educativo, perché è il primo canale, il primo settore attraverso il quale possiamo veicolare le giuste considerazioni su questo fenomeno odierno, che ci troveremo a vivere sempre con maggiore intensità e pervasività. Chi svolge il compito di educatore, pensando alle scuole, alla pastorale, alla catechesi, deve prendere in mano, deve avere a cuore l’importanza di conoscere approfonditamente questi strumenti, in modo da consentire ai nostri interlocutori di sviluppare quello che in gergo chiamiamo “pensiero critico”.



Riconoscere innanzitutto che queste macchine, questi strumenti non sono degli oracoli che danno risposte universali alle nostre domande, ma sono dei mezzi che ci possono aiutare a trovare meglio la via per giungere alle risposte che cerchiamo e giungere anche alla verità. In definitiva: avere a mente in maniera molto chiara e molto netta che l’intelligenza artificiale ci abilita a migliorare le nostre vite, ma occorre educare ed educarci a farne un uso critico e consapevole. Va da sé che sapremo all’occorrenza gestire un’adeguata adattabilità e una personalizzazione anche della stessa educazione, in modo da aumentare anche la qualità degli usi che ne potremmo fare.

Articoli Correlati