Avvenire di Calabria

Sentirsi cittadini italiani pur non essendo nati in Italia è possibile

Voci di integrazione, dalla missione del dottor Al Sayyad al sogno di Aliaksandra: «Abbiamo scelto Reggio Calabria»

Quando la differenze non contano: ecco due storie di chi ha deciso di vivere e operare nel nostro Paese

di Redazione Web

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Oggi vi raccontiamo due storie di integrazione e cittadinanza, con protagonisti che hanno vissuto in prima persona il difficile cammino verso il riconoscimento dei propri diritti. Il dottor Said Al Sayyad, medico palestinese, ci parla del suo percorso di successo a Reggio Calabria dove è primario al GOM, mentre Aliaksandra, giovane bielorussa, condivide le difficoltà burocratiche affrontate per ottenere la cittadinanza italiana. Entrambi hanno costruito la loro vita nel nostro Paese, trovando una nuova casa a Reggio Calabria.

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Cuore palestinese, mani calabresi: il dottor Al Sayyad e la sua missione

La storia del dottor Said Al Sayyad, palestinese di nascita e direttore del Dipartimento Onco-Ematologico-Radioterapico del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria (nella foto mentre dona il sangue durante una campagna di raccolto dell'AVIS), è un esempio di integrazione e amore. Arrivato in Italia nel 1980 per realizzare il sogno di diventare medico, ha costruito una famiglia e si è integrato con successo sia a livello professionale che culturale e sociale.

Perché ha scelto l’Italia?

Ho scelto di venire in Italia perché nel mio paese il governo israeliano mi impediva di studiare medicina. Sono arrivato con regolare permesso di soggiorno e visto.

Chi l’ha aiutata qui in Italia?

La mia volontà. Nei primi anni ho fatto molti sacrifici e mi sono arrangiato, con il sostegno a distanza dei miei genitori. Il mio obiettivo era laurearmi. Ero iscritto a Medicina ad Ancona e studiavo giorno e notte perché non capivo bene l’italiano.



Ho lasciato la città nel 1983 dopo il terremoto che ha distrutto la mia casa. Mi sono trasferito a Roma, dove ho conosciuto colei che sarebbe diventata mia moglie.

Quindi, la laurea e la specializzazione…

Nel 1989 mi sono laureato. Quindi mi sono specializzato prima a L’Aquila e poi a Messina. Ho avuto la fortuna negli anni di specializzazione nello Stretto di conoscere il mio ex primario, la dottoressa Capua, alla quale devo molto. Mi ha insegnato tanto. Se oggi sono a Reggio Calabria lo devo a lei. Purtroppo, ci ha lasciati prematuramente.

Come vive il suo rapporto con i pazienti e col territorio in cui oggi risiede?

Mi sento molto stimato dai reggini. Anzi, mi sento come un calabrese. Pensi che, pur non mangiando maiale, a volte, mi invitano anche “a frittole” e io ci vado volentieri per stare in compagnia.

Questo dare e avere cosa rappresenta per lei?

Tanto. Forse c’è un po’ di gelosia da parte di qualche collega perché sono molto ricercato dai malati, ma mi vogliono bene e mi stimano molto professionalmente. In Italia non mi sono mai sentito straniero, cosa che purtroppo percepisco quando torno a Gerusalemme per visitare i miei genitori, oggi anziani.


PER APPROFONDIRE: Diventare cittadini italiani a Reggio Calabria: numeri, tempi e percorsi


Sono nato al Monte degli Ulivi e sono palestinese, ma per il governo israeliano, essendo residente in Italia, vengo considerato come un forestiero. Questo, però, non mi accade qui a Reggio, né con la gente né con i miei pazienti.

C’è, invece, qualche episodio particolare legato al suo essere “straniero” in Italia?

A volte qualcuno mi chiede per curiosità da dove vengo, ma più che altro perché sentono il mio accento. Quando dico che vengo dalla Terra Santa, mi abbracciano e mi mostrano grande affetto. Per loro, provenire da un luogo così importante, come il Monte degli Ulivi, vicino alla Chiesa di Getsemani, è un motivo di grande rispetto. Questo mi fa sentire molto stimato e diverso in senso positivo.

Il suo rapporto con la religione?

Mia moglie è cattolica e la accompagno sempre quando va in pellegrinaggio a Lourdes o a San Giovanni Rotondo. Rispetto la sua religione, e lei rispetta la mia. Ho accettato di battezzare mia figlia. Quando c’è un lutto, vado in chiesa e mi siedo rispettando gli altri… Viviamo una contaminazione culturale e religiosa in modo naturale.

Oggi, sarebbe facile per un cittadino straniero integrarsi allo stesso modo in cui si è integrato lei?

Non credo, oggi è molto più difficile. C’è molto fanatismo, mentre noi avevamo un obiettivo: studiare. Molti giovani fuggono dalla miseria, ma arrivano senza un obiettivo chiaro. L’integrazione è possibile solo rispettando le regole. Le tensioni economiche e politiche nel mondo arabo e in Medio Oriente alimentano ignoranza, odio e fanatismo. La caduta di dittatori come Saddam Hussein e Gheddafi non ha portato stabilità, ma solo più instabilità e guerra. La cultura è fondamentale, senza di essa non c’è cambiamento. 

Aliaksandra: «Ho scelto l’Italia, ma la burocrazia mi frena»

Aliaksandra è arrivata in Italia nel 2003 grazie a un progetto di accoglienza per bambini bielorussi. Col tempo, il legame con l’Italia è diventato profondo, portandola a stabilirsi qui definitivamente.

Aliaksandra Volkova il giorno della laurea magistrale all'Università Dante Alighieri di Reggio Calabria

Il suo percorso in Italia - in particolare a Reggio Calabria -, tra studi e integrazione, è stato però segnato da ostacoli, soprattutto burocratici, che hanno rallentato il suo sogno di sentirsi parte di questa terra che ormai chiama casa.

Che ricordi hai della tua prima volta in Italia?

Avevo appena sette anni. Venni nell’ambito del programma di cooperazione umanitaria tra Italia e Bielorussa nata a seguito dell’incidente nucleare di Chernobyl. Pur essendo nata dieci anni dopo quel disastro, quei progetti proseguirono per gli orfani. Sono arrivata in Calabria e ho trascorso un’estate incredibile con una famiglia italiana.

E poi perché ci sei tornata, fino al punto di stabilirti qui?

Nel corso degli anni ho continuato a venire in Italia per tre mesi d’estate e un mese d’inverno. A vent’anni, però, ho deciso di tornare per studiare. Ho ritrovato la famiglia che mi aveva ospitato da bambina e per me si è trattato di un amore vero.

E una volta tornata in Italia, cosa hai fatto?

Nel 2016 mi sono iscritta alla triennale all’Università per Stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria. Ho studiato Mediazione Interculturale e Coesione Sociale in Europa per assistenti sociali. Poi ho conseguito anche la laurea magistrale in Politiche per l’Innovazione e l’Inclusione Sociale nella stessa università. Mi sono trovata bene. All’università ho trovato una seconda famiglia, e ho creato forti legami con i professori e i colleghi. Nel frattempo ho fatto qualche lavoretto e adesso collaboro con uno studio psicogeriatrico, il Neurolab22.

Hai avuto difficoltà ad imparare la lingua italiana? Come hai superato eventuali difficoltà?

Conoscevo già l’italiano dai miei soggiorni da bambina, ma il primo anno di università è stato difficile. Avevo studiato solo in russo, con l’alfabeto cirillico e leggere testi pieni di termini giuridici e sociologici era quasi impossibile: capivo le parole, ma non il significato. I docenti sono stati davvero comprensivi. In particolare la professoressa Pilozzi mi ha aiutata molto. A lezione si fermava per accertarsi che avessi capito. Mi correggeva anche quando sbagliavo a parlare, e così ho migliorato il mio italiano.

Nel contesto culturale italiano come ti sei inserita invece?

Fin da bambina ascoltavo musica italiana, guardavo serie TV italiane e leggevo libri. Laura Pausini, ad esempio, mi piace molto. Però il primo anno in Italia è stato difficile, mi sentivo fuori posto, e a volte succede ancora. Alcuni ti fanno sentire straniera, e questo pesa. La burocrazia poi... non ne parliamo. Ma nonostante tutto, mi sento accettata, soprattutto dalle persone con cui ho creato legami nel tempo.

Parlando di burocrazia, hai fatto richiesta per la cittadinanza italiana. Cosa ti ha spinto a fare questo passo?

Sono stata adottata da maggiorenne, cosa illegale in Bielorussia, ma possibile in Italia come sancito dall’articolo 291 del Codice Civile. Avrei dovuto aspettare cinque anni per la cittadinanza, ma ne sono passati sette, a causa del Covid e della guerra che coinvolge anche la Bielorussia. Ho speso mille euro: 250 per la domanda e 700 per le traduzioni e certificazioni.

Quando pensi di ottenerla?

Non lo so ancora. Per legge ci vorrebbero dai due ai quattro anni dal momento della richiesta. Io ho fatto domanda il 23 maggio 2023, quindi dovrò aspettare ancora. E ora c’è anche il problema che la Bielorussia non permette di rinnovare il passaporto...

E quanto ti sta limitando questa attesa?

Moltissimo. Senza cittadinanza non posso partecipare ai concorsi pubblici. Mi sono laureata due anni fa e ho quasi 30 anni. Se la cittadinanza la avrò a trent’anni, quale datore di lavoro mi assumerà? Nessuno. Potrò forse lavorare in nero, ma senza contributi e tutele.

Cosa vorresti dire, qual è il tuo messaggio?

Vorrei che la burocrazia fosse più leggera, più flessibile per chi si trova nella mia situazione. Io non faccio parte dell’Unione Europea, ma sono stata adottata, ho studiato qui, ho costruito una vita qui. Ho tutti i requisiti per essere riconosciuta cittadina italiana.

Cosa rappresenterebbe per te ottenere la cittadinanza italiana?

Vorrebbe dire essere inclusa in una società che si definisce multiculturale. Poter lavorare e contribuire pienamente, senza dover sempre combattere con la burocrazia.

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