Avvenire di Calabria

Intervista all'Assistente ecclesiastico generale di Azione cattolica realizzata a margine della sua recente visita a Reggio con tutti gli assistenti nazionali di Azione Cattolica

Monsignor Giuliodori: «La Chiesa? Sinodale, missionaria e digitale»

Dal valore della sinodalità, alla cura di giovani e famiglie. Ma anche le nuove sfide comunicative. Sono alcuni temi che abbiamo approfondito insieme al vescovo

di Davide Imeno

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Durante i mesi estivi il vescovo Claudio Giuliodori ha visitato Reggio Calabria insieme a tutti gli assistenti nazionali di Azione Cattolica. Ne abbiamo approfittato per condividere con lui un dialogo.

Eccellenza, stiamo per entrare nella fase finale del cammino sinodale della Chiesa Italiana, quali sono le sue opinioni sul cammino svolto finora e quali le attese sul percorso che resta da fare?

Questo percorso sinodale dobbiamo innanzitutto considerarlo come un grande evento ecclesiale, un grande dono. Non possiamo paragonarlo a un concilio, ma certamente può avere tutti gli effetti di un grande evento ecclesiale. Questo convergere e camminare insieme, voluto da papa Francesco, ci sta offrendo la possibilità di ridisegnare il volto della Chiesa. Cosa significa un volto sinodale? Significa un volto di comunità capace di ascoltarsi, di dialogare, di essere Chiesa aperta al mondo e alle sfide contemporanee. Il doppio livello del cammino della Chiesa universale, del cammino delle Chiese che sono in Italia, consente anche di dare al percorso delle nostre diocesi un orizzonte davvero grande.


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Siamo alla vigilia della seconda sessione dell'Assemblea del Sinodo della Chiesa universale e stiamo programmando e preparando i materiali per la prima assemblea sinodale delle Chiese che sono in Italia. Gli strumenti, cioè l'Istrumentum Laboris del Sinodo della Chiesa Universale e il lineamento del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, convergono su alcune grandi attenzioni e, se vogliamo, poi diventano sfide per l'impegno della comunità ecclesiale. In primo luogo, generare una consapevolezza battesimale della corresponsabilità per la vita della Chiesa di tutti i battezzati. Trovare anche le formule che consentano una maggiore partecipazione e coinvolgimento di tutti, in modo particolare valorizzando anche la realtà delle donne, i ministeri, i carismi, i doni che ci sono nelle realtà ecclesiali. Andranno ripensati certamente i consigli pastorali, presbiterali, con una maggiore responsabilità e coinvolgimento. Un altro grande aspetto è legato proprio alla cultura del nostro tempo, ai linguaggi, che include anche la liturgia, il modo di trasmettere la fede, l'iniziazione cristiana, tutti i temi di grande attualità che sono all'ordine del giorno anche della vita delle nostre comunità e delle parrocchie. Quello Sinodale è un grande orizzonte su cui muoversi, un grande impegno che è richiesto a tutti, sia a coloro che già sono attivi nella vita ecclesiale, ma in modo particolare pensando a tutti coloro che acquisendo maggiore consapevolezza del dono ricevuto con il battesimo possono contribuire alla missione della Chiesa perché l'orizzonte è sempre quello di una Chiesa davvero missionaria, aperta, che sappia farsi solidale con tutti, come ci dice papa Francesco: «Chiesa in uscita, ospedale da campo».

L'opzione preferenziale per i giovani dovrà diventare prassi pastorale. Da dove iniziare secondo lei?

L'attenzione ai giovani è un tema che papa Francesco richiama continuamente, ma non solo lo richiama, ha fatto dei gesti davvero importanti, che saremmo miopi se non sapessimo leggerli e anche attuarli. Penso solo al sinodo dedicato ai giovani. In duemila anni di storia della Chiesa un'attenzione così puntuale, così anche ampia nei confronti dei giovani non si era mai vista. Il frutto di questo percorso che è riassunto nella Christus Vivit, che il Papa a cinque anni di distanza ha chiesto di riprendere in mano e di approfondire, costituisce una piattaforma di impegno pastorale che siamo chiamati tutti, ciascuno per la sua parte, a sviluppare. I percorsi che possiamo fare sono quelli innanzitutto dello “stare con i giovani”, condividere con i giovani la loro condizione, che è una condizione un po' di smarrimento, di incertezza, di grandi slanci ma anche di grandi paure e si può vivere il cammino dei giovani solo stando al loro fianco.


PER APPROFONDIRE: L’eredità della Gmg di Lisbona: la pastorale delle relazioni aumentate


Sono reduce dal cammino di Santiago con 50 universitari dell'Università Cattolica e devo dire che hanno una grande voglia di mettersi in gioco, di camminare nella vita ma hanno bisogno di essere accompagnati, di essere sostenuti, di essere guidati. Quindi la Chiesa deve riprendere un'attitudine non al giovanilismo (che non serve), quindi non semplicemente a scimmiottare alcune forme, alcune espressioni giovanili, ma ad essere a fianco dei giovani che vuol dire anche a volte stare davanti per trascinarli, a volte stare umilmente dietro per sostenerli. La pastorale giovanile è certamente una piattaforma importante ma lo sguardo ai giovani oggi deve stendersi anche a quei luoghi dove i giovani vivono principalmente, quindi attenzione alla scuola, abbiamo una grande opportunità con l'insegnamento della religione cattolica, attenzione al mondo dello sport, del tempo libero e alle varie forme aggregative, non ultimo ovviamente ai social e al linguaggio digitale. Sono tutte dimensioni che sono anche al centro del dibattito sinodale e ci auguriamo che anche da queste assise, da questi percorsi, escano rinnovati impegni e anche una maggiore attitudine a stare al fianco dei giovani.

L'Azione Cattolica da questo punto di vista gioca un ruolo cruciale...quanto conta formare gli educatori affinché accompagnino bene i giovani?

L'Azione cattolica si sta rivelando una grande risorsa per le Chiese che sono in Italia. Dopo una fase di un po' di riduzione, ma anche di un po' di incertezza perché dopo il Concilio Vaticano II molte cose sono cambiate, emerge una domanda fortissima di relazione, di vicinanza, di solidarietà. Comprendiamo come all'interno della Chiesa, che è già una comunità di battezzati, di vari soggetti con diverse articolazioni, un soggetto come l'Azione cattolica - che ha nel suo specifico lo sviluppo della vocazione battesimale e il servizio alla Chiesa, nelle strutture ordinarie, le parrocchie, le diocesi, al fianco del vescovo - non ha esaurito la sua funzione, tutt'altro, si rivela oggi uno strumento importante. Ci sono tre elementi che anche nella attuale riflessione interna dell'associazione costituiscono la condizione di attività e di azione di questa aggregazione. La prima è l'unitarietà. L'Azione cattolica ha scelto, pur nella sua suddivisione in settori, in movimenti, di agire sempre in modo unitario, per cui questa problematica emergente nel nostro tempo della frattura generazionale, viene in qualche modo ricucita dall'impegno di tutti, dai ragazzi ai giovani, agli adulti, le famiglie, gli adultissimi come li chiamiamo. Tutti insieme sono protagonisti del cammino della Chiesa, curato e alimentato anche dalla democraticità. Il terzo elemento è che l'Azione cattolica svolge un grande lavoro di carattere soprattutto formativo e nel sinodo, nei dibattiti di questi ultimi anni, molto si è discusso proprio su come ridare vigore alla formazione. Quindi questi tre elementi fanno dell'Azione cattolica oggi non uno strumento obsoleto, ma un'esperienza concreta, dinamica, come si è visto anche dall'incontro col Papa il 25 aprile. Il nuovo triennio è partito sulla scia, sullo slancio di questo grande abbraccio con papa Francesco e siamo certi che l'Azione cattolica potrà ancora contribuire in modo significativo al cammino delle Chiese che sono in Italia.

Il tempo dell'Università è un momento di scelte importanti (non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche affettivo, valoriale, politico). Come rinvigorire o ripensare la presenza della Chiesa negli atenei?

Il compito che mi ha affidato prima Benedetto XVI, confermato poi da papa Francesco, di accompagnare la vita di un grande Ateneo come l'Università Cattolica, è stato per me motivo di grazia da una parte, perché è un dono straordinario, ma dall'altra è anche un'opportunità per conoscere il mondo giovanile e il mondo accademico universitario e credo che la Chiesa abbia una grande opportunità, non solo in un'istituzione così grande come l'Università Cattolica, dove abbiamo 45.000 studenti, 1.300 professori, 12 facoltà, un grande ospedale come il Policlinico Gemelli… tutta la Chiesa italiana deve essere consapevole di questo enorme patrimonio, un giacimento culturale formidabile per affrontare le sfide del nostro tempo. Ma direi che tutto il mondo universitario è importante e che soprattutto nelle diocesi dove ci sono Atenei ci sia una particolare attenzione, una pastorale universitaria che vuol dire dialogo con il mondo della cultura, quindi con la struttura accademica, ma poi, in particolare, vicinanza ai giovani, agli studenti, intercettando le loro domande, che sono domande di socialità. Sono anche a volte domande concrete di ospitalità, di alloggi, sono domande di luoghi significativi, sono domande anche di esperienze forti. In Università Cattolica per certi versi è più facile, ma dobbiamo proporre esercizi spirituali, esperienze intense di studio comune, momenti di riflessione su temi di attualità, porre in evidenza le grandi domande e questioni etiche che comunque nel mondo accademico risuonano, perché oggi il progresso, la scienza, la tecnica pongono grandi quesiti etici. Ecco, tutto questo può e deve costituire una particolare attenzione da parte delle comunità ecclesiali. Ci vuole ovviamente un po' di preparazione, un po' di sensibilità, ci vuole uno sguardo che sappia uscire dal perimetro a volte troppo circoscritto e un po' asfittico delle nostre parrocchie e dei nostri luoghi classici, storici, privilegiati. Dobbiamo avere il coraggio di uscire in questo campo aperto che è il mondo dell'università e della cultura, recuperando anche alcune esperienze come lo slancio del progetto culturale o il dinamismo educativo come ci indica papa Francesco. Quindi, quello universitario è un mondo che dobbiamo frequentare di più, è un mondo che dobbiamo accompagnare, anche perché possiamo riceverne davvero molto, è una sinergia utile alla missione contemporanea della Chiesa.

C'è un altro luogo che forse merita una cura pastorale diversa, più attenta e rinnovata... la famiglia. Lei cosa ne pensa?

Questa domanda, in primo luogo, risveglia in me una passione giovanile dei miei primi decenni di ministero sacerdotale, avendo studiato e insegnato i temi del matrimonio e della famiglia. Risveglia molte cose. Innanzitutto, il recupero di una teologia autentica del matrimonio e della famiglia. Negli anni '90 avevamo sviluppato in maniera abbastanza chiara, forte e decisa, la ministerialità del matrimonio e, di conseguenza, una particolare rilevanza della famiglia come “Chiesa domestica” nella comunità ecclesiale. Negli ultimi decenni, devo dire anche leggendo gli strumenti di lavoro del Sinodo della Chiesa Universale e del Cammino Sinodale, questa prospettiva e questa valorizzazione del matrimonio e della famiglia, imprescindibile dal punto di vista teologico e pastorale, si è andata perdendo. Credo, un po' per le criticità della famiglia, come sappiamo, e le relazioni affettive in genere vivono una stagione di grande criticità. Dall'altra parte, forse ha avuto un ruolo l'incapacità di declinare in modo organico la ministerialità della famiglia con il resto della ministerialità, soprattutto quella dell'ordine e poi i vari ministeri istituiti e non. Ma questa mi sembra la prima grande sfida, non perdere di vista il quadro, la cornice di riferimento dal punto di vista teologico e pastorale. La seconda questione è l'attuazione piena della Amoris Laetitia, cioè essere capaci di stare al passo delle famiglie con tutte le criticità, le difficoltà, le sofferenze, le ferite che oggi le famiglie purtroppo sperimentano e vivono. Quindi, da una parte, la famiglia è una risorsa imprescindibile per la vita della Chiesa, dall'altra è una realtà sofferente con elementi di criticità importanti da un punto di vista sociale e culturale che siamo chiamati ad affrontare con un nuovo slancio. Penso in primis alla formazione dei giovani, all'accompagnamento dei fidanzati: è evidente che i corsi per fidanzati a ridosso del matrimonio servono a ben poco, abbiamo bisogno di recuperare il senso del fidanzamento come evento sorprendente di grazia che determina un'alleanza tra due persone, un uomo e una donna, che si riconoscono chiamati a rispondere alla vocazione, all'amore, a questo orizzonte sponsale dove si muove l'azione del Signore. Poi, abbiamo bisogno nelle parrocchie di spostare il baricentro: la famiglia Chiesa domestica non è solo una bella immagine recuperata dal Concilio, è una realtà sostanziale. Quindi, la parrocchia deve muoversi tra il baricentro eucaristico, che fa convergere tutti attorno alla mensa della Parola e dell'Eucaristia, e il continuo andare e radiare dell'azione evangelizzatrice passando attraverso le case, perché le case sono un luogo teologico.

Siamo a un anno esatto dalla conclusione della GMG di Lisbona e a un anno esatto dall'inizio del Giubileo dei Giovani: l'appuntamento lusitano è stato l'evento ecclesiale più raccontato sui social, quanto conta oggi, secondo lei, la missione digitale della Chiesa?

Ho avuto modo di partecipare alla GMG di Lisbona come a tante altre precedenti, quasi tutte. Questa intuizione di Giovanni Paolo II è stata una manna provvidenziale per la vita della Chiesa. Non c'è nessun soggetto al mondo che sia in grado di attrarre i giovani in questo modo così dinamico, così partecipato e così universale. A Lisbona c'è stata una grande sorpresa: dopo il Covid, dopo il grande isolamento, non immaginavamo mai di poter avere così tanti giovani che si mettessero in cammino verso Lisbona. Vedere quanto è avvenuto nelle piazze, nei vari eventi e poi nella veglia, nella messa conclusiva, soprattutto l'impressionante silenzio del momento di adorazione eucaristica ci fa dire che c'è una sete da parte dei giovani e c'è una grande attesa, per cui compito della Chiesa è intercettare questa domanda dei giovani, mettersi nuovamente in cammino con loro e pensare anche come ridisegnare luoghi, percorsi, ma anche linguaggi.


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Il linguaggio digitale oggi è imprescindibile: i giovani non solo frequentano i social, ma abitano i social, e i social sono un mondo anche pieno di ombre e dobbiamo essere capaci di illuminare questo spazio vitale per i giovani, così come l’Intelligenza artificiale, perché produce degli impatti formidabili sul vissuto delle persone, intercetta, seleziona, analizza i vissuti e quindi fa poi proposte che vanno a intercettare la condizione giovanile, ma spesso con finalità di tipo commerciale o ideologico. Dobbiamo stare dentro questo mondo, analizzarlo attentamente, ma soprattutto essere capaci di proposte creative e dobbiamo mettere in questo ambito tutta l'energia dello Spirito Santo che, come all’origine, ha aiutato la Chiesa a raggiungere gli estremi confini della Terra e consente anche oggi di affrontare queste sfide per alcuni versi davvero estreme e comunque innovative. Non dobbiamo avere paura, non dobbiamo demonizzare i social e i media, dobbiamo essere capaci, dedicando energie, competenze, facendoci aiutare da laici che hanno questa sensibilità e hanno le competenze necessarie per sviluppare la missione della Chiesa anche in questo ambito.

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