Avvenire di Calabria

Nel 2015 i finanziamenti furono dirottati al Nord. Il parlamentare rincara la dose: «Se distribuiti pro-capite, +2% del Pil»

Il senatore Siclari: «Fondi del Sud spesi per Expo Milano»

Marco Siclari *

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La problematica dell’incapacità delle regioni meridioni di spendere, ma soprattutto di spendere bene, i fondi comunitari e nazionali destinati allo sviluppo e al rilancio delle aree depresse è più complessa di quanto non sembri a prima vista. Infatti, accanto a una chiara incapacità e debolezza politica della classe dirigente politica meridionale degli ultimi decenni, si deve comunque valutare la mancanza di programmazione nazionale e l’instabilità del governo centrale, specialmente negli ultimi dieci anni, che ha impedito di affrontare e risolvere, in maniera organica e sistematica la «questione meridionale». Non è vero che della mancata spesa dei fondi europei destinati al Sud per le infrastrutture sia da imputare esclusivamente a responsabilità delle regioni del Sud. Ci sono grosse responsabilità da parte del Governo nazionale.

Spesso accade che nel silenzio generale maturi un grosso imbroglio, ossia il mancato co– finanziamento: durante il Governo Renzi sono stati sottratti circa 10 miliardi di euro al Mezzogiorno sul falso o non completamente vero presupposto che le regioni del Sud siano state ritardatarie nella progettazione e nell’impegno di spesa dei fondi e tali fondi furono dirottati su Roma Capitale e, soprattutto, sull’Expo Milano (legge stabilità 2015). C’è ovviamente il problema della classe dirigente delle regioni meridionali, spesso corrotta o compromessa con la delinquenza organizzata, ma il più delle volte questa è una mera scusa. Il vero è che la maggior parte della spesa in conto capitale, cioè quella per gli investimenti, è nella diretta gestione dello Stato centrale, ivi compresa una parte consistente dei Fas, inseriti ad esempio nei cosiddetti accordi di Programma– Quadro dei trasporti, gestiti direttamente da Ministeri e imprese pubbliche o parapubbliche (Anas e Trenitalia, per esempio) e qui dovrebbe succedere che Anas e Trenitalia gestiscano i fondi europei destinati alla regioni del Sud, ma a due condizioni ossia che lo Stato le co–finanzi e che tali interventi non diventino sostitutivi dell’intervento ordinario dello Stato. Invece succede l’opposto: lo Stato in molti casi ha ridotto il co– finanziamento; e lo stesso Stato nega ormai da tempo l’intervento ordinario con la scusa che «il Sud tanto ha i fondi europei»: peccato che i regolamenti comunitari in materia di fondi strutturali precisino che gli stessi interventi da effettuare con i soldi della Ue debbano aggiungersi e non sostituirsi a quelli dello Stato. È sufficiente conoscere quanto successo nel recente passato circa la programmazione Fas 2007– 2013, che valeva 63 miliardi di euro, poi tagliati a 53. Su 25 miliardi di Fas a gestione governativa centralizzata, 24 sono stati utilizzati per 33 operazioni in gran parte di spesa corrente: tradotto, significa che il governo ha deciso di usare i Fas non per investimenti «straordinari» al Sud, ma per spese di ordinaria amministrazione.

Soldi che lo Stato avrebbe dovuto mettere di tasca propria, e che invece così ha risparmiato, per operazioni che nulla avevano a che vedere con lo sviluppo del Sud, e che in massima parte hanno finito per arricchire in ogni caso il Centro–Nord. Oltre alla spesa non effettuata esiste anche la spesa «cattiva». Anche in questo caso la responsabilità non è solo del Sud e infatti la macchina centrale, chiamata a guidare le regioni nell’utilizzo delle risorse che arrivano da Bruxelles, l’Agenzia per la Coesione territoriale, si è inceppata: a luglio 2016 è stato speso solo il 2,16% dei fondi strutturali previsti per il periodo 2014– 2020, che ammontano a un totale di 64 miliardi di euro. Se si distribuissero pro– capite i fondi comunitari agli abitanti dlele regioni del Sud, ciò basterebbe per ottenere un incremento del PIL di oltre il 2% l’anno. Per spiegare la spesa cattiva ci sono solo due possibili spiegazioni: o si tratta di spesa falsa o, invece, la spesa è così pessima qualità che non ha avuto alcun effetto. Da ultimo e non per importanza i fondi vengono spesi male perché le gare di appalto sono quasi sempre irregolari. L’Economist ha rilevato, con dati alla mano, che se nel 2006 in Italia il 15% delle gare per affidamento di lavori pubblici riceveva una sola offerta, nel 2015 ciò ha riguardato un terzo degli affidamenti. Si tratta di bandi già elaborati per ridurre la concorrenza che spesso vengono impugnati e finiscono nelle lungaggini dei contenziosi. Le risorse per lo sviluppo e la riduzione dei divari territoriali – Fondi strutturali comunitari, Piano di azione coesione e risorse nazionali del Fondo di sviluppo e coesione – sono arrivate a pesare nel 2015 per il 72% a fronte del 28% di quelle ordinarie. Una nuova elaborazione ad hoc fatta depurando l’analisi dall’eccezionalità dell’anno, e usando una media triennale, conferma che lo sbilanciamento è evidente: su 691 euro di spesa in conto capitale che la Pubblica amministrazione effettua per un singolo cittadino meridionale solo 239 euro arrivano dai fondi ordinari, cioè quelli che lo Stato mette a disposizione completamente “di tasca sua”. Al Centro–Nord il rapporto è ribaltato: 508 euro di spesa ordinaria pro capite e 87 di spesa straordinaria. Non è solo questione di numeri. L’effetto è la mancata addizionalità dei fondi “straordinari” che anziché andare a ridurre i divari tra territori sostituiscono di fatto spesa ordinaria che lo Stato dovrebbe comunque garantire.

* senatore Forza Italia

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