Avvenire di Calabria

Chi era Giovanni Ferro e come la comunità reggina e la Chiesa calabrese tutta accolsero la notizia del suo viaggio verso la Gerusalemme celeste

Il lascito d’amore di monsignor Giovanni Ferro

II ricordo di monsignor Latella: «Entrò negli ambienti della solitudine e dell’abbandono morale e sociale: fu profeta di Dio»

di Umberto Giovanni Latella *

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

La comunità diocesana commemora con immutati sentimenti di filiale affetto, il trentesimo anniversario della partenza del Servo di Dio Giovanni Ferro, Arcivescovo Metropolita di Reggio Calabria e Vescovo di Bova, verso la Gerusalemme del Cielo, definitivo approdo del credente, “vero esodo da questo mondo al Padre, per godere e contemplare chiaramente Dio uno e trino, qual è” (LG 49).

Chi era il vescovo Giovanni Ferro

Nati per “ricordare” ricondotti al cuore, riviviamo quel memorabile giorno che ci è alle spalle ed al quale quanti, confratelli nel sacerdozio ministeriale o in quello battesimale, fummo comunitariamente partecipi. È possibile, riandare a quell’avvenimento vissuto dalla comunità ecclesiale  diocesana, alla quale si è unito l’intero episcopato calabro, Vescovi della Sicilia, i Superiori Maggiori della Congregazione Somasca di San Girolamo Emiliani, i presbiteri reggini e delle diocesi calabresi, Religiosi e Seminaristi, rappresentanze delle pubbliche istituzioni cittadine e regionali, quelle della Diocesi astigiana, ci  permette di interrogarci se, quel 18 Aprile 1992 fosse già assorbito dalla voracità di una cronaca o estenuato dalla smemoratezza della preziosa eredità spirituale lasciataci dal Venerato Pastore.


Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE


Il vescovo Giovanni Ferro, per 27 anni, ha percorso le nostre strade, angelo di consolazione, in mezzo ai suoi figli tragicamente provati da luttuosi eventi, è entrato negli ambienti della solitudine e dell’abbandono morale e sociale, tra i sofferenti degli ospedali, del lebbrosario, tra i carcerati: ovunque profeta di Dio che parlò, soffrì e comprese il cuore del suo popolo che ha catechizzato con passione pastorale.

Il popolo, col senso soprannaturale della fede (LG 12), riconobbe nella sua persona il Signore Gesù Cristo, Pontefice Sommo, che gli aveva affidato la testimonianza al Vangelo della grazia di Dio e il glorioso ministero dello Spirito e della giustizia (LG 21).

Il vescovo Giovanni Ferro nei quartieri "ghetto" di Reggio Calabria
Il vescovo Giovanni Ferro nei quartieri "ghetto" di Reggio Calabria

Nel rileggere il racconto della sua missione episcopale, il tempo si trasfigura: “è sempre tempo nuovo” (Mt 1,14) e ci invita ad onorare il monito dell’autore della lettera agli Ebrei: “ricordatevi dei vostri Capi, i quali vi hanno annunziato la Parola di Dio; considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede” (Eb 13,7): è possibile applicare anche al Venerabile Servo di Dio l’elogio che il libro del Siracide fa “degli uomini segnalatesi per fede e pietà”.

“Per le generazioni che salgono facciamo memoria dei nostri Padri. Il Signore li ha resi consiglieri per la loro intelligenza, annunziatori e sapienti profeti, nel loro insegnamento. Le loro opere non sono dimenticate, la loro virtù non sarà offuscata, i loro corpi sono sepolti in pace, il loro nome vivrà per sempre, l’assemblea ne proclama la lode” (Sir 44).

Al testo biblico sembra essersi ispirata la lettura della vita del Servo di Dio così come l’ha delineata il Cardinale Ugo Poletti, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma e già Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che dichiara: “lo conobbi anch’io e lo frequentai a lungo con venerazione. Attraevano verso di Lui lo spessore e l’arditezza della fede, l’autorevolezza della persona, la saggezza dei suoi interventi, sempre attesi ed apprezzati, la signorilità e semplicità del portamento, parco di parole, ma sempre amabile, che mi sembra poter riassumere in una sola parola: “ci mostrò la sacra maestà del Vescovo e la viveva, perché intensamente da Lui posseduta”.

Il vescovo Giovanni Ferro, sapientemente festoso e accogliente, specie con i fanciulli e gli ultimi, rendeva grandi gli umili con la sua grande umiltà. In ginocchio assumeva la dimensione di uomo e credente; appariva come un fanciullo estatico, essendo rimasta scolpita nel suo volto, sino alla fine, la nota caratterizzante dell’infanzia spirituale che rende immediato e filiale il rapporto con Dio e meno complicato quello con i propri simili, perché solo dentro gli spazi della purezza di cuore si può vedere Dio (Mt5,8), ascoltarne le parole, parlargli, parlare di Lui.

Il vescovo Giovanni Ferro incantava quando pregava

“I nostri occhi l’hanno visto” (Lc2,30) nella solennità pontificale; quando presiedeva le liturgie nella Cattedrale reggina, nelle lontane comunità parrocchiali, site nei sentieri impervi dell’Aspromonte o nelle assolate contrade del litorale reggino; nella quotidianità senza soste dell’annuncio del Regno, aprendo nuove strade di evangelizzazione. Uomo di vita apostolica, mai sopraffatto da fretta ansiosa o da ricerca di successo. I nostri occhi hanno potuto realmente constatare come, nel corso della divina liturgia o prostrato dinanzi al Tabernacolo, in città o nelle campagne, Egli stesse immerso davanti a Dio, respirare il divino, alimentare la fiamma apostolica, l’insonne cura delle vocazioni, accompagnate personalmente al Sacerdozio, con la concretezza e generosità del Suo paterno sostegno: “con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità”(Ef 4,2).

Così visse fino ai giorni finali della sofferenza, fattasi oblazione pura e santa per il Suo clero,l’elevazione spirituale e la promozione morale del suo gregge; la purificazione della religiosità popolare; la denunzia chiara e forte, della mafia “disonorata piaga della società”, frutto di sofferta storia di antiche inadempienze e di squilibri economici; la maturità e responsabilità del laicato delle varie espressioni associative ecclesiali.

Il vescovo Giovanni Ferro parla ad una folla di bambini
I bambini in ascolto del loro vescovo Giovanni Ferro

Tutti ebbero in monsignor Giovanni Ferro il Maestro e Dottore della fede con l’autorità di Cristo (LG 20), il testimone dell’Invisibile, anche nel sereno passaggio che dalla terra lo condusse alla contemplazione celeste.

Per chi tiene sempre fisso lo sguardo confidente in Dio, non ci sono sorprese, neppure le sorprese della morte che è avviamento alla gloria e gioia perenne, ove l’ha introdotto la Vergine Maria, porta felice del cielo, “felix coeli porta”, come Lui, umilmente genuflesso dinanzi alla Vergine Maria, era solito cantare, accompagnato dal coro festoso di presbiteri, dalla incontenibile vivacità di uomini e giovani che sulle loro spalle avrebbero processionalmente sorretto l’Effige della Consolatrice, mentre Egli stendeva le mani largamente benedicenti sulla moltitudine del popolo reggino che piamente si segnava al Suo passaggio.

La notizia del decesso del Venerabile Servo di Dio attraversò città e diocesi, fu come un “passaparola” la condivisione di sincero dolore gridato dal popolo cristiano, perché Egli incontrò favore agli occhi di tutti, “amato da Dio e dagli uomini, nel giorno della sua morte è benedetto” (Sir 1,13;45,1).

Si è subito avviato verso il Seminario Arcivescovile uno spontaneo pellegrinaggio di riconoscente pietà, per venerare le spoglie del defunto arcivescovo, fissare lo sguardo commosso sul suo volto composto nella pace di una morte sacra, libero, finalmente, dai segni palesi del lungo calvario di infermità, la quale non lo sfigurò, ma lo trasfigurò con la dolcezza di Dio.

Permane indelebile l’esperienza interiore vissuta da Sacerdoti, Seminaristi, e tanti fedeli, giovani soprattutto, raccoltisi spontaneamente nella Cappella maggiore del Pio XI, per adempiere, secondo il proprio ruolo, il ministero della lode e della preghiera di suffragio, durante la Veglia funebre illuminata dal mistero della Pasqua del Signore.

Si avvertiva la sintonia, quasi memoriale, tra i testi della Liturgia delle Ore, in atto nel sacello del Seminario reggino, e la partenza di monsignor Giovanni Ferro per la vita senza fine.

“Recessit pastor noster”

Si è allontanato il nostro Pastore, così si esprime la liturgia della Grande settimana. “Colui che ci conduceva alle fonti d’acqua viva; Colui che con i suoi passi rapidi e sicuri apriva il giusto cammino, non più visibilmente tra noi” (Lit.Ore Sabato Santo).

Fu facile in quella sosta laudativa ed orante, meditare l’impenetrabile mistero della morte; quel salmodiare di sacerdoti e fedeli fu come un parlare con il cuore ed ascoltare la parola di speranza che l’Arcivescovo Giovanni, avvolto nel sonno della morte, suggeriva al cuore dei suoi figli dopo essersi abbandonato al beato riposo nella pace.

“Nella speranza la mia carne riposa, in Sion la mia abitazione. Vedrò la bontà del Signore nella terra dei vivi” (Sal 4,9), “Starò nella santa città, ove splende la gloria di Dio, sua luce è l’Agnello immolato. Il Primo e Ultimo, la stella luminosa del mattino” (Ap 2,8).

Il cuore umile del "quasi santo" vescovo reggino

Tanti i momenti toccanti della concelebrazione esequiale svoltasi nella Basilica cattedrale reggina. Svolgendo l’omelia, monsignor Giuseppe Agostino, Arcivescovo Emerito di Cosenza- Bisignano, raccontò i dati più significativi del ministero di monsignor Ferro.

Di Lui disse tra l’altro: “era sacerdote somasco, figlio di San Girolamo Emiliani, invocato come “il padre degli orfani”, ricco di umiltà, di ascesi penitenziale e di sereno ottimismo evangelico. Questo stile “somasco” si rifletteva pienamente in monsignor Ferro. Nobile ed austero come il Pastore del Gregge, affabile e giusto come un maestro, paterno e premuroso verso i presbiteri  che aveva presenti uno ad uno, li amava silenziosamente, soffriva dignitosamente per ognuno e per tutti li cercava delicatamente, vigile custode della fede della comunità ecclesiale da lui evangelizzata con la schiettezza di un magistero  coniugato tra fedeltà e rinnovamento, specie dopo la primavera pentecostale del Vaticano II che inaugurò, pur tra non poche difficoltà una stagione di rinnovamento e di speranza per i cristiani e per l’umanità.

Il vescovo Ferro sul sagrato della Cattedrale parla alla folla durante i "Moti" di Reggio Calabria

La fedeltà e l’amore della tradizione cattolica rendevano il Suo ministero audace perché accoglieva ogni ispirazione celeste. Non si lasciava catturare da niente, da nessuno. La sua dimensione di uomo “donato” la consacrò in una carità continua e la radicò in una povertà evangelicamente ed affettivamente vera e gioiosa. La carità fu la sua forza, il suo spazio vitale. Egli è stato un dono della Provvidenza alla nostra città, alla nostra Calabria, ed alle Chiese d’Italia. In quest’ora di dolore e di pianto, come non dire il desiderio più volte di lui espresso di morire a Reggio.

Lui, religioso nomade di Dio, qui venuto da lontano, per disegno provvidenziale, veramente accolse il fascino della calabresità e l’incarnò con sorprendente naturalezza. Era incantato dai valori semplici ma intensi della nostra gente. Coglieva pure limiti e difetti, ma raramente ne esprimeva disappunto o disagio. Eroicamente qui ha consumato la sua pasqua”. Così monsignor Giuseppe Agostino, da “figlio”, ha illustrato il Padre con profondo senso di venerazione, di sincerità e di amore.

Sotto il segno della benedizione del vescovo Giovanni Ferro

Convinto che non ci sia altro modo per approfondire il senso di una testimonianza di vita se non quello di raccontarla come debito di filiale riconoscenza, avrei dovuto rievocare e raccontare, a comune edificazione, annotazioni ed episodi dal vivo, sicuramente accaduti, timbrati da ineguagliabile semplicità evangelica; tutti relativi al servizio ed alla missione terrena del Venerabile Servo di Dio che ha segnato al nostro cammino indimenticabili traiettorie di santità. Sarà sapienza non solo ricordare, ma seguire, a perpetua memoria delle inconfondibili caratteristiche umane, spirituali e della multiforme pastoralità del Servo di Dio:

  • La compostezza solenne di Vescovo liturgico;
  • La grandezza umile;
  • La fulgente icona della carità;
  • L’ amore illimitato per il Suo Clero;
  • Il soprannaturale ardente carisma di Padre dei giovani e degli orfani;
  • Il Direttorio Pastorale;
  • L’attuazione degli Organismi di partecipazione;
  • La strenua testimonianza della verità e della giustizia;
  • L’eroica fortezza dell’ultimo tratto della Sua vita. Padre amatissimo che rimpiangiamo, accolto nel gaudio eterno, 30 anni or sono, proprio come tra l’altro, scultoreamente, evidenziano le epigrafi che adornano il Suo sepolcro.

Infine, mentre aneliamo nella fede e nella speranza, l’abitazione definitiva della Città eterna, uniti con la moltitudine dei testimoni di Cristo, con fratelli ed amici sempre abitati da Dio, ci consola la gioiosa promessa indelebilmente iscritta nel Testamento spirituale dell’Arcivescovo Giovanni:

«Vi ho amati tutti e continuo ad amarvi senza esclusione alcuna. Ringrazio tutti della grande bontà che, come figli dilettissimi, avete avuto per me, indegno Pastore della Chiesa reggina e bovese. Vi attendo tutti in Paradiso».

Codesta paterna assicurazione continua a consolidare la nostra comunione con il carisma di santità che traspariva dalla sua Persona. Ci resta ancora da saldare il debito dovuto: attuare coerentemente quello che ci ha insegnato e testimoniato.

Una delle ultime foto: Giovanni Paolo II fa visita al vescovo Ferro

Il Venerabile Servo di Dio, monsignor Giovanni Ferro non cessa d’intercedere per ognuno di noi (LG 49-50) e ci riporta sulla strada dell’amore nella verità: “Via veritatis, via caritatis”.


PER APPROFONDIRE: Trent’anni fa il pio transito di monsignor Ferro


A 30 anni dal giorno in cui ha varcato le soglie dell’Eterno, il Venerabile Servo di Dio Giovanni  Ferro, amante della concordia e difensore dell’unità dei cuori (Ef 4,13), continua ad esortarci: “ sarete mia corona e mio gaudio se la vostra vita risplende nell’amore e nella santità (San Leone Magno).

La Sua voce, la voce del vescovo Giovanni Ferro non si è spenta. Egli continua a posare le sue mani di Padre e Maestro sulle nostre umili spalle e a sussurrarci all’orecchio: “Omnia in Charitate”.

*Vicepostulatore

Articoli Correlati