Avvenire di Calabria

Giubileo 2025: mons. Brambilla (Novara), “il pellegrinaggio è luogo della ‘conversione’, della guarigione delle ferite dell’io”

di Redazione Web

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Il pellegrinaggio “è luogo della ‘conversione’, della guarigione delle ferite dell’io, della redenzione dei blocchi comunicativi, del ritrovamento dell’uomo come essere di relazione. Per questo l’uomo non smetterà mai di essere viaggiatore, non solo per bisogno e commercio, non tanto per curiosità e ricerca dell’inesplorato, ma per sondare nuovi orizzonti e riscoprire la perla preziosa dell’interiorità e della sua anima. L’uomo esce da sé, va verso l’altro, per ritrovare veramente se stesso!”. Lo ha scritto mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, in un contributo pubblicato sull’ultimo Dossier di “Orientamenti pastorali” dedicato al tema “Verso il giubileo. Il pellegrinaggio, metafora della vita cristiana” e rilanciato sul sito web del Centro di orientamento pastorale.
Il presule inizia la sua riflessione osservando che “da un lato, il pellegrinaggio è un ‘cammino’ di uscita da sé che, però, fatica oggi a trovare una direzione e un traguardo; dall’altro, il pellegrinaggio ha continuamente mutato figura nella storia, passando dal pellegrino all’esploratore, dal viaggiatore al bighellone contemporaneo”. “In primo luogo – rileva –, una riflessione antropologica e spirituale sul pellegrinaggio deve prendersi cura di leggere tutte le forme con cui l’uomo – per trovare la propria identità – deve attingere a una riserva di senso che colmi la sua natura estroversa, eccentrica, itinerante. Egli deve abitare uno spazio e un tempo ‘altro’ e incontrare ‘altri’ per ritrovare se stesso. La sua ‘identità’ si costruisce nella sua relazione all’‘al­terità’, la sua identità è transitiva e drammatica. L’uomo si forma nella sua relazione all’altro e si media attraverso il racconto di un’esperienza e un incontro con l’altro”. “Tutte le forme dell’estrover­sione, dell’uscita della casa, dell’evasione dalla vita feriale, dell’andare verso l’altro, dell’in­contro con il diverso, del confronto multiculturale, della sfida spirituale, dell’esercizio corporeo, sono modi necessari per strutturare la propria identità”, aggiunge mons. Brambilla: “Anzi essi sono modi per ritrovare anche la propria identità perduta, la propria umanità ferita, la relazione infranta, la comunità frammentata, per fare esperienza del corpo sciolto, della vita leggera e della speranza viva”. Per il vescovo, “la forma attuale con cui l’uomo cerca di sfuggire alle maglie della società strumentale e pianificata, razionale e produttiva, consumistica e competitiva, ha forti tratti di evasione, di interruzione dell’attività ripetitiva, di ricerca dell’esoterico e dell’esagerato, dell’esperienza-limite e della sfida all’im­possibile. Soprattutto nel campo del tempo libero, questa ricerca di esperienze estreme appare assai evidente. Anche il turismo contemporaneo, persino quello religioso, appare come la moneta battuta dal conio stressante e iperattivistico della vita moderna, così che assume i tratti dell’esotico, dello stravagante, del notturno”. “In ogni epoca storica – prosegue – l’uomo afferma, nelle forme con cui esce dalla sua casa, dal suo paese, dalla sua patria, l’immagine di sé e la ricerca del suo destino: il ‘pellegrino’ si rivela come bisognoso di redenzione e cerca una purificazione trascendente: l’‘esplo­ratore’ si comprende come l’uomo microcosmo e insegue orizzonti inesplorati; il ‘viaggiatore’ si manifesta come un’anima curiosa e percorre i paesaggi della cultura umana; il “vagabondo” si manifesta nella sua identità fluida e si perde in un vagare senza meta”. Per mons. Brambilla, “dovremmo quindi far scoprire, dentro le forme tentacolari e disperse con cui si vive oggi la partenza da casa e la ricerca di nuovi approdi, la nostalgia dell’‘homo viator’, bisogna essere capaci di rivelare il pellegrino dell’As­soluto dentro le forme fragili e la necessità di legami profondi della vita odierna. Questa è la speranza che possiamo e dobbiamo trasmettere attraverso la ‘spiritualità’ del pellegrinaggio, di cui conviene inventare nuove forme culturali e spirituali, che mettano alla prova l’identità sempre da capo da ricostruire e restaurare”.

Fonte: Agensir

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