Avvenire di Calabria

In occasione della Giornata mondiale contro l’abuso e il traffico illecito di stupefacenti vi proponiamo testimonianze, storie e sguardo degli inquirenti

Droga, salvarsi è possibile: «Così abbiamo detto no alla dipendenza»

Una giovane ex tossicodipendente e la madre di un ragazzo spiegano come si può uscire dal drammatico tunnel delle dipendenze

di Redazione Web

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Il 26 giugno si celebra come ogni anno la Giornata mondiale contro l’abuso e il traffico illecito di droga. Il tema proposto per quest’anno è “The evidence is clear: invest in prevention” (“L’evidenza è chiara: investire in prevenzione”) e suggerisce un approccio che abbia come priorità prevenzione e trattamento.

La giornata è stata istituita dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1987 con l’intento di creare una comunità internazionale libera dalla droga.


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Purtroppo i dati confermano ancora un uso spregiudicato di droghe, sempre più in crescita tra i giovani. La giornata è anche occasione per rinnovare l’impegno volto a fermare il “mercato di morte”, legato al narcotraffico.

Le testimonianze: storie di coraggio e tanta forza di volontà

Una giovane donna di Reggio Calabria racconta la sua straordinaria storia di rinascita dopo anni di lotta contro la tossicodipendenza. Dopo essere caduta nel tunnel della droga, ha trovato la forza di ritrovare la vera sé stessa. La sua testimonianza è un messaggio di speranza per chi vive situazioni simili.

«Ci vuole tanto coraggio e forza di volontà», racconta, spiegando come sia riuscita, non senza difficoltà, a liberarsi di un grande peso. «Finire nel vortice della droga è facile, non è altrettanto facile uscirne ma io ce l’ho fatta. Condivido la mia storia se può servire ad aiutare qualcun altro a salvarsi», dice. La Giornata mondiale contro la droga che si celebra fra qualche giorno ci offre, inoltre, lo spunto di approfondire il tema, anche attraverso un’altra testimonianza: quella di una madre «coraggio» che ha salvato il proprio figlio.

«Ho sconfitto la droga»

Miriana (nome di fantasia) è una giovane donna di Reggio Calabria, condivide la sua straordinaria storia di rinascita dopo anni di lotta contro la tossicodipendenza. Grazie al percorso terapeutico intrapreso e tanta forza d’animo, ha ritrovato se stessa e ora desidera aiutare chi si trova in difficoltà.

Come è iniziato il suo percorso di dipendenza?

Ho avuto a che fare con la droga fin dalle scuole superiori. Il primo spinello mi è stato offerto a scuola, poi ho iniziato con l’alcol, che è stato il mio problema principale. Ho abusato di alcol e ho abbinato le droghe all’alcol. Non ho una data precisa di quando tutto è iniziato, ma con il tempo ho capito che dai disturbi alimentari e dall’attaccamento al cibo sono passata all’attaccamento alla bottiglia e poi alle droghe. Prima di tutto questo, ero mentalmente molto intossicata e maturavo relazioni tossiche.

Quando si è resa conto che forse stava sbagliando?

Ci si rende conto di non essere più se stessi quando si inizia a scatenare una rabbia incontrollata e a vedere le persone che ti vogliono bene cambiare atteggiamento. Ero stata cresciuta dalle suore e sentivo che stavo buttando all’aria tutto quello che mi avevano insegnato. Non c’era più nulla di me. Mi chiamavo Miriana, ma in realtà non c’era più nulla di Miriana. Mi svegliavo con un alito che puzzava di alcol, la prima cosa che facevo era controllare se avevo la borsa e mandavo un messaggio a un amico per chiedere se avevo combinato qualcosa di sbagliato. Era una vita bruttissima, piena di dolore e sogni infranti. Pensavo che la mia vita fosse questa ormai e che non avrei mai più potuto essere la persona che ero.

E invece? C’è qualcuno, in particolare, che l’ha aiutata a cambiare?

Sembra strano, ma un amico arrogante, ridotto peggio di me, mi diede il contatto del Cereso proprio per sfottermi. Inconsciamente, decisi di tenerlo. Quella mattina presi in mano quel numero e chiamai. Mi rispose una delle mie educatrici di riferimento. Mi rassicurò e mi disse: «Questa è la residenziale e abbiamo solo ragazzi, però ti indico il numero della Don Tonino Bello, che è un centro diurno. Parla con loro e vedrai che troveranno una soluzione per te». Così andai alla Don Tonino Bello con mia madre e feci subito un colloquio.


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Trovai persone che non solo ascoltavano con le orecchie, ma anche con gli occhi, e questa per me era una cosa nuova. Nonostante la mia diffidenza, ero convinta che fosse solo una visita per lenire la mia paura. Dicevo tra me e me: «Non ho niente. Vado lì perché mi tolgano l’ansia. Mi faccio rassicurare, tanto io non berrò più». Quello fu l’inizio della mia consapevolezza e della nuova Miriana. È stato un percorso tortuoso e difficile, ma quelle furono giornate intense, piene di consapevolezza, che mi hanno portato a essere quella che sono oggi.

Che cosa ha trovato nella comunità?

Lì ho trovato intimità, ascolto attivo ed empatia. Mi sono sentita accolta e ho scoperto una nuova strada: se prima evadevo da casa per andare in strada, lì ho trovato il percorso che avevo dentro di me. Al Cereso, ognuno è considerato unico, con le proprie caratteristiche. Dopo i colloqui, ho sperato di entrare e mi considero fortunata di essere stata accolta. Grazie agli incontri con i compagni, ai gruppi e alle attività seguite da un’equipe completa – non solo educatori, ma anche psicologi, psichiatri e artisti – ho partecipato anche ad attività esterne. È stato faticoso ma bello, perché ho scoperto una strada dentro di me che non conoscevo. Ora sto sfruttando ciò che ho imparato, perché la comunità è soprattutto fuori.

Come vive il presente dopo questa esperienza?

Nel qui e ora, purtroppo, non posso dire di essere felice perché al momento vivo una situazione molto drammatica: mia madre sta molto male. Tuttavia, c’è una cosa bella: oggi posso dire di essere una persona che, nel dolore o nella tristezza, trova un momento per sorridere. Se fino a qualche anno fa non potevo neanche prendermi cura di una pianta, oggi sono grata a me stessa perché posso prendermi cura di mia madre.


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Questo è una cosa bellissima per me e anche per lei, perché posso garantirle sicurezza. Oggi sono una persona concreta e onesta, o almeno cerco di esserlo il più possibile. Non smetterò mai di prendermi cura di me stessa e, se posso, anche di chi mi vuole bene. Scelgo me stessa sempre al primo posto. Sono piena di obiettivi, nonostante tutto. Studio, cosa che prima non potevo più fare, e oggi lo faccio con piacere. Mi piace l’arte. Oggi studio fotografia, una cosa che prima non avrei neanche immaginato. Penso di essere positiva e voglio continuare a perseguire questo obiettivo e a essere così.

Qual è il suo messaggio per chi sta affrontando un percorso simile?

A chi sta affrontando un percorso come il mio, vorrei ricordare che la comunità è uno strumento, non un percorso come la scuola che inizia, finisce e poi si dimentica. La vera comunità è fuori. Io ne sto prendendo atto adesso che sono fuori. Vivete questo percorso giorno per giorno, intensamente, affinché vi possa aiutare quando sarete fuori ad affrontare il mondo, perché vi servirà tanto. La comunità vi arricchisce, vi dà tanti strumenti e vi fa conoscere aspetti di voi stessi che neanche immaginavate di avere.

Ha mai pensato di aiutare chi si trova in difficoltà? In che modo?

L’ascolto è essenziale per sostenere chi ha vissuto esperienze simili alle mie, ma la decisione di farsi aiutare è personale e non può essere imposta. Mi è capitato, talvolta, di incontrare persone con questo problema e, quando possibile, ho offerto il mio sostegno. Alcuni hanno accolto il mio consiglio o, almeno, mi hanno ascoltato. Così, senza invadere la privacy altrui, condivido la mia storia nella speranza che possa trasmettere un messaggio.

La mamma coraggiosa: «Così ho salvato mio figlio»

Non vuole essere definita “mamma coraggio”, anche se lo è nei fatti. Le etichette contano poco; ciò che davvero importa è la testimonianza che ora vuole condividere con i nostri lettori, sperando di poter aiutare altre famiglie che affrontano situazioni simili. Questa mamma reggina ha ritrovato una grande forza grazie al conforto ricevuto lungo il doloroso percorso e al supporto della comunità terapeutica del Cereso di Reggio Calabria.

Come è iniziata la tossicodipendenza di suo figlio? Quali segnali ha colto?

Ho capito che mio figlio stava scivolando nell’oblio della tossicodipendenza dai suoi occhi sempre più spenti, dai suoi atteggiamenti strani. Mancava spesso da casa e diventava molto nervoso e pieno d’ira non appena si chiedeva dove fosse stato o chi stesse frequentando. I suoi soldi scomparivano in un giorno.

Cosa prova una madre che scopre ciò che ha scoperto lei?

Inizialmente mi sono sentita impotente davanti a questa versione di mio figlio. Mi sono sentita giudicata nel mio ruolo di madre.

Come è stato vissuto il percorso di recupero da suo figlio e dalla vostra famiglia? C’è qualche figura, in particolare, che vi ha aiutato nell’intraprenderlo?

Quando ormai la situazione era degenerata, ho trovato il coraggio grazie all’appoggio di don Tonino. Lui ci ha saputo indirizzare sulla strada della guarigione.

Oggi, com’è cambiata la vita del ragazzo?

Oggi, mio figlio è un ragazzo che sta cercando di riprendersi la sua vita. Lavora ed esegue corsi di formazione per migliorare la sua vita dal punto di vista lavorativo. Ha trovato l’amore ed aspira a formare una famiglia.

Da mamma che ha vissuto un’esperienza faticosa accanto a suo figlio, c’è un messaggio che vuole condividere non solo con quei genitori che si trovano in questo momento con un figlio tossicodipendente?

Se dovessi dare un consiglio a una mamma che scopre la tossicodipendenza del proprio figlio, le direi di stargli vicino e di avere il coraggio di aiutarlo, prendendo anche una decisione dolorosa come quella di allontanarlo. Non stai chiudendo tuo figlio in comunità, ma lo stai aprendo a una nuova vita. 

Parla il Pm, Musolino: «Ecco perché le droghe sono sempre una fregatura»

«La presenza della ’Ndrangheta, in territori impoveriti come il nostro, sembra meno evidente perché le cosche principali sono totalmente dedicate al narcotraffico, grazie al quale ottengono profitti enormi».

🎧 Ascolta l'episodio del Podcast Good Morning Calabria con il procuratore aggiunto Stefano Musolino 👇

Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Stefano Musolino, che ha firmato alcune delle più importanti inchieste contro i clan reggini, analizza il fenomeno ‘ndranghetistico, soffermandosi in particolare sul settore più remunerativo, soprattutto in zone in cui non vi sono più attività da infiltrare.

Una presenza in apparenza meno evidente, ma comunque incisiva?

Assolutamente, soprattutto per la capacità delle organizzazioni criminali, in particolare la ‘Ndrangheta, di lucrare sui traffici di stupefacenti a livello internazionale. Tutte le statistiche e le evidenze giudiziarie indicano la ‘Ndrangheta perfettamente inserita in questi sistemi criminali, traendo profitti enormi. Questo le conferisce, in un territorio povero come il nostro, una capacità di reclutamento e di fascinazione per la possibilità di arricchirsi, anche se con qualche rischio. La ‘Ndrangheta agisce più nel sottobosco criminale rispetto al passato, concentrando le risorse sul narcotraffico.

Come è strutturata oggi l’organizzazione?

Il narcotraffico evolve costantemente con l’introduzione di nuove sostanze. Il Fentanil, ad esempio, sta emergendo anche nei nostri mercati. Le organizzazioni criminali utilizzano sistemi sempre più sofisticati per gestire i traffici, dalla comunicazione alla modalità di pagamento e riciclaggio del denaro. La ‘Ndrangheta rimane un soggetto centrale nel narcotraffico internazionale, apprezzata dai produttori centroamericani.

Il porto di Gioia Tauro ha ancora un ruolo centrale?

Sì, come tutti i porti di transhipment in Europa, Gioia Tauro è strategico per la movimentazione dei container senza controlli doganali specifici, facilitando l’estrazione della cocaina. Oltre a merce legittima, si movimentano anche stupefacenti.

La droga viaggia anche attraverso altri canali, come il dark web?

Il dark web è utilizzato per la vendita al dettaglio, non per i traffici di importazione ed esportazione su larga scala gestiti dalla ‘Ndrangheta. Tuttavia, il dark web può diventare uno strumento significativo per le attività di riciclaggio.

Perché le cosche preferiscono mantenere oggi un profilo basso?

Le difficoltà principali sono la scarsezza di risorse investigative. La ‘Ndrangheta continua a non essere un’emergenza per le politiche criminali del nostro paese, costringendoci a scegliere su quali obiettivi concentrarci a causa delle gravi carenze nei quadri investigativi. Questo è il primo problema.

La ‘Ndrangheta rappresenta ancora un’emergenza?

La ‘Ndrangheta rappresenta un’emergenza straordinaria, specialmente nel sud e nella provincia di Reggio Calabria, dove la povertà è diffusa. A causa di questa situazione, la ‘Ndrangheta esporta le sue attività verso le aree ricche, poiché nei nostri territori non ci sono sufficienti attività economiche da sfruttare. Pertanto, il narcotraffico internazionale diventa un settore di grande interesse per i profitti, mentre i mercati e i settori economici del più ricco centro e nord Italia sono i principali obiettivi per l’infiltrazione economica.

Il suo messaggio in occasione della giornata mondiale contro la droga?

Le droghe sono sempre una fregatura. Pochi guadagnano, molti restano dipendenti. Dobbiamo ribellarci a questa narcosi sociale che ci avvilisce, lottare per i nostri diritti e per possibilità di sviluppo più giuste. (F.C.)

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