Avvenire di Calabria

Da due anni in Israele, il sacerdote reggino condivide anche la sua esperienza di responsabile di Casa “Kerigma”

Terra Santa, don Valerio Chiovaro: «Io fidei donum a Gerusalemme vi racconto la mia missione»

La testimonianza: «Essere “dalla” Chiesa di Reggio “per la” Chiesa di Gerusalemme, dipana orizzonti e tempi, crea ponti e possibilità»

di Redazione Web

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Don Valerio Chiovaro condivide le sua testimonianza di fidei donum a Gerusalemme e responsabile di Casa Kerigma. Nelle sue parole emerge uno spaccato significativo sulla missione della Chiesa e il servizio quotidiano in Terra Santa, tra sfide, speranze e la costruzione di ponti di fede e pace.

Una missione con il cuore e soprattutto "con i piedi"

La Chiesa è missione e la missione si fa con il cuore e soprattutto con i piedi. Il mandato è l’ultima indicazione di Cristo ai suoi apostoli. È un “andate”, ma ancor più un “io vi mando”. È un “andate”, ma ancor più un “annunciate”; è un “vai”, ma ancor più un “seguimi”. Vivere la missionarietà, così, non è un “auto mandato personale”, ma un dare carne alla dimensione missionaria della Chiesa, della Chiesa particolare della nostra diocesi.

Don Valerio Chiovaro a Gerusalemme

Penso sia significativo e non comune che la nostra Chiesa Reggina esprima la sua missionarietà in tanti modi, tra gli altri attraverso due fidei donum in luoghi così diversi: in Madagascar, con don Claudio; in Terra Santa con me.

Da Reggio a Gerusalemme per "servire" la "Chiesa delle origini"

Essere “dalla” Chiesa di Reggio “per la” Chiesa di Gerusalemme, dipana orizzonti e tempi, crea ponti e possibilità. Si torna alla Chiesa delle origini per riappropriarsi dell’essenzialità del messaggio originante e, così, per educarsi ad un annuncio sobrio, incisivo. Ma anche ci si apre alla cattolicità della Chiesa, non solo nel dialogo con le altre confessioni storiche (che qui è questione di ogni giorno), ma anche nel confronto interreligioso e nella immersione in una multiculturalità ricca e arricchente.


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Si serve questa Chiesa delle origini per contribuire alla sua missione di maternità, di rigenerazione per coloro che vengono qui come pellegrini. Si serve questa Chiesa “per e con” coloro che qui vivono una quotidianità “resistente”, gravida di incertezza, dolore, fiducia. Ormai da quasi due anni serviamo questa diocesi, e attraverso questa la Chiesa Cattolica, con Casa Kerigma.

Don Valerio Chiovaro con il cardinale Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme

La missione ha una connotazione specifica. È un’iniziativa della nostra diocesi, patrocinata dal Dicastero per le Chiese Orientali, e sostenuta dal Patriarcato Latino di Gerusalemme, grazie anche all’impegno di Attendiamoci. L’intento è quello di offrire alle persone che arrivano, l’ambiente vitale per incontrare la Parola Incarnata. Casa Kerigma è espressione della missione di Gerusalemme, che è anche quella di accogliere e soprattutto di annunciare con i luoghi, di consolare per l’incontro col Maestro risorto.

La missione in tempi di guerra

Quest’anno, a causa della guerra, il flusso dei pellegrini è stato quasi nullo. Anche casa Kerigma ne ha sofferto. Ma qui si è abituati a leggere i segni di Dio e a piegare gli strumenti alle condizioni storiche. In queste si ascolta l’appello del Padre, si incontra la testimonianza del Figlio, ci si alimenta con la forza dello Spirito, si seguono le indicazioni e l’esempio del Pastore: il Patriarca. Così, in maniera particolare, quest’anno casa Kerigma è stata un punto di riferimento per le persone che a Gerusalemme ci “dovevano stare in ogni caso”: per lavoro, per studio, per condizione di vita.

La famiglia di casa Kerigma, quindi, è stata un po’ più stabile e ha visto: giornalisti, volontari, militari, religiosi, studenti e, in particolare, i sacerdoti giovani, che hanno continuato il loro percorso di studi nella Città Santa. Con molta semplicità si è condiviso qualche pasto, a volte un po’ di angoscia, la preghiera, il gioco… Si è stati insieme in un momento in cui più marcata è la nostalgia e più forte il senso di impotenza. Ci siamo interrogati a vicenda su cosa volesse dirci quello che avveniva accanto a noi… Non abbiamo trovato altra risposta se non: siamo qui e ci rimaniamo! Servendo, facendo, tacendo, pregando, raccogliendo le lacrime di disperazione di quanti questa guerra la vivono nella propria carne più sanguinante. In fondo noi “stranieri”, dobbiamo accettare di rimanere sempre “altri” da chi è colpito veramente. E proprio perché “altri”, possiamo essere punti di connessione. In sintesi, siamo stati semplicemente Chiesa.

Muoversi nella certezza di essere sempre in una porzione di Regno di Dio

La condizione di vita qui è sempre tesa, l’incertezza su come muoversi, le continue notizie di guerra e soprattutto l’abisso di sfiducia e odio che si va creando tra le giovani generazioni, esigono tanta preghiera e discernimento. Così, si riconosce che il luogo dove siamo mandati è pur sempre una porzione di Regno di Dio; è il terreno nel quale siamo gettati come seme. E così si lavora. Questa condizione ha permesso un approccio ancora più umile al servizio che casa Kerigma va facendo.


PER APPROFONDIRE: Una nuova missione nella Terra del Signore


Un servizio di consolazione, ma anche di educazione alla consolazione. Può consolare solo chi riceve consolazione. Da qualche parte bisognerà ri-cominciare. E più che le case, le chiese, gli ospedali, qui vanno ricostruite le relazioni. Per questo si va sognando un “ospedale della consolazione”, che possa aiutare a rimarginare le ferite di questi popoli - in particolare dei giovani - che qui a Gerusalemme, pur indossando divise diverse, fanno parte della stessa Chiesa. Casa Kerigma, pertanto va diventando un luogo dove educarsi alla Consolazione, e questo è possibile nella relazione con il Consolatore.

Condizioni che possono essere sperimentate da coloro che sono consapevoli del dono della fede. Per gli altri si tenta di riproporre i fatti del cenacolo. Dai fatti loro stessi passeranno alla Parola.

Una rinnovata Pentecoste

In una rinnovata Pentecoste, ci si capisce, pur parlando diverse lingue, ma anche si riparte per l’annuncio. Così, quest’anno, anche in ragione dell’assenza dei pellegrini, e in accordo con il Patriarca, mi sono messo in viaggio.

Una sorta di missione nella missione: ho visitato diverse diocesi per raccontare della Terra Santa, ho incontrato il Sovrano Ordine Militare di Malta, riunito nel suo convegno internazionale a Cracovia e ho vissuto tre esperienze internazionali prolungate per conoscere le particolarità delle Chiese di diverse latitudini. Chiese con cui costruire e a cui proporre il progetto di casa Kerigma. Così, sono stato a Cambridge, in Inghilterra, anche per approfondire l’inglese. Lì sono stato ospite dei Domenicani, condividendo la vita comunitaria. Poi, per più di un mese, sono stato negli Stati Uniti e alla New York University ho approfondito gli studi sulla Consolazione.

Qui sono stato ospite dei Francescani e ho avuto modo di incontrare tante realtà ecclesiali, come tante storie intrecciate nel quadrante unico di questa città, tanto mondiale, quanto particolare. Ancora, sono stato una settimana in Turchia, ospite del vescovo di Istanbul, per verificare la possibilità di collegamenti più diretti, verso una visione unitaria di Terra Santa.

Don Valerio Chiovaro con il vescovo di Istanbul, mons. Palinuro

Incontrare “tanta Chiesa” e vivere nei conventi dei Domenicani e dei Francescani, oltre che visitare altri ordini religiosi, mi ha permesso di condividere la vita di preghiera, le esperienze, così diverse e articolate, in particolare dei frati anziani.

Una rinnovata missione lungo la via della sinodalità

Mi ha consentito di vedere l’entusiasmo dei giovani, approfondire sensibilità pastorali… Confrontare modalità di vita comunitaria… Insomma un mondo importante, specialmente per noi diocesani, forse un po’ chiusi nel nostro piccolo recinto. Questo mi restituisce la bellezza della cattolicità, ma anche tantissimi spunti perché casa Kerigma sia un luogo a disposizione della Chiesa Universale. Un luogo nel quale la Chiesa madre di Gerusalemme, che in questi anni sto servendo come “ultimo arrivato”, possa servire la Chiesa Universale.


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Mi sembra che questo sia lo Spirito del sinodo: una missione lungo la via. Uno stile che, in qualche misura, si oppone a quello del sinedrio, termine che significa “stare seduti insieme”. E la Chiesa è sinodale, non è sinedriale.

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