Avvenire di Calabria

DOSSIER/2. Il primo giorno di scuola visto con gli occhi di un prof

Don Sergi: «Essere un maestro è un compito ”amoroso”»

Redazione Web

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

di don Pietro Sergi* - «La scuola è la soluzione a tutti i nostri problemi». Così recentemente titolava un giornale, provocando un inevitabile contraccolpo nel lettore. Ma subito dopo, comincia la disamina della situazione, con la notizia del fatto che nel 2018 hanno abbandonato la scuola 151 mila studenti, uno su quattro, secondo dati Eurostat, che collocano l’Italia tra i paesi europei peggiori, in una posizione che precede solo paesi come Islanda, Spagna, Malta, Romania e Portogallo. L’articolista continua dovendo ammettere che «tutti i problemi dell’Italia di oggi derivano da scelte sbagliate nelle scuole di ieri», poi passa a individuare questi errori in scelte di natura economica, nell’orientamento scolastico, nella mancata centratura dell’offerta formativa. Se si dialogasse con un dirigente scolastico probabilmente ci si sentirebbe rispondere che la soluzione del problema scuola si potrebbe ottenere incrementando le risorse economiche, magari tramite progetti innovativi che consentano l’intercettazione di fondi e la disponibilità di personale e strutture, così la propria scuola potrebbe diventare un’eccellenza che si può accaparrare utenti e consensi. Un insegnante probabilmente si lamenterebbe della formazione insufficiente e “gonfiata” con cui arrivano gli allievi dall’ordine di scuola precedente e punterebbe il dito contro la crisi della famiglia, delle istituzioni e dell’umano, e contro la disistima del proprio lavoro che risulterebbe usurante e sottopagato. Se si chiedesse ai ragazzi. Anche loro risponderebbero in modo arrabbiato sulle ripetute ingiustizie subite nella valutazione, ma alla fine determinati a inghiottire la pillola per passare allo step successivo e in definitiva poter entrare nel “supposto” parco giochi della vita, dove si può provare a non dare conto a nessuno.

Ma dopo tutto questo si ha l’impressione che il rilevamento delle criticità non basti e forse non scalfisce neppure lontanamente il vero problema: cos’è la scuola?

Perché quello strano contraccolpo nel sentire che sarebbe la soluzione a tutti i nostri problemi?

Provo a rispondere a partire dalla mia esperienza di insegnante di religione. Per prima cosa devo ammettere che non c’è strumento “esterno” che possa risolvere il problema fondamentale della scuola. Perché il vero problema del nostro tempo è a tutti i livelli un problema di fiducia. La scuola è, dal mio punto di vista, una trama di rapporti e questi rapporti hanno come obiettivo un atto d’amore, il prendere per mano la persona giovane e introdurla in ciò che c’era prima di lei, nella realtà misteriosa. La vera magia accade quando viene alla luce nel giovane il “gancio” a cui collegare quanto si ha da comunicare e da mostrare. E i contenuti non possono essere solo nozioni, ma passioni e gusto, entusiasmo per un cammino che li riguarda. Se guardiamo i bambini, impariamo da loro che non hanno paura del nuovo, ma che, qualora insorgesse lo scoramento davanti all’ignoto, basta la mano della mamma tesa e stretta con fiducia, ad affrontare qualsiasi paura e qualsiasi disagio. Il problema della scuola, a mio avviso è da rintracciare nell’insicurezza dell’adulto, nella riduzione del primo amore, della passione originaria che ha mosso tanti di noi, a volerci impegnare nel mestiere più bello del mondo, il mestiere dell’insegnante cioè del maestro, un compito che è amoroso. Ciò che per la mia esperienza entusiasma un giovane e lo tira fuori dalla scontatezza del sistema, dalla noia e dall’abitudine, è vedere vibrare in un adulto, come un qualcosa, la febbre di vivere, un nonsoché, una passione per la realtà e per la vita, che non sia retorica, ma curiosità e stupore per quello che c’è ed è lì per noi, come un gioco alla caccia al tesoro, il Tesoro della Verità che intriga e trascina e che chiede un “accordarsi” nel giusto modo, perché si piega a chi, come la sfinge di Edipo, pone la domanda giusta. Come sarebbe bello se ogni insegnante, ogni dirigente e ogni persona che opera nel mondo della scuola imparasse a scoprire in sé le domande giuste, quelle di cui non si può avere paura, perché mettono in moto, portando alla luce il presentimento del vero, abbattono i bastioni del cinismo e del sospetto e rendono gli uomini fratelli nel cammino della vita.

* direttore Ufficio scuola diocesano

Articoli Correlati