Avvenire di Calabria

Il 10 settembre è stata aperta ufficialmente l'inchiesta diocesana volta ad accertare le virtù eroiche e cristiane dell'amato Servo di Dio che dedicò la sua vita al prossimo

Don Italo Calabrò, l’uomo che cambiò Reggio

Dal ricordo del fratello Corrado, a quanti hanno condiviso con lui un pezzettino della sua breve e intensa vita terrena: scopriamo meglio questa figura di uomo e sacerdote

di Francesco Chindemi e autori vari

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È un importante momento quello vissuto domenica 10 settembre, ai piedi della Venerata Effigie della Madonna della Consolazione, dalla comunità diocesana di Reggio Calabria - Bova e legato al cammino di beatificazione di don Italo Calabrò, amato e indimenticato sacerdote che ha lasciato una traccia indelebile nei cuori del popolo reggino e non solo.

In un clima di grande partecipazione emotiva, alla presenza di centinaia di fedeli, nella Basilica Cattedrale, prima della messa pontificale in onore della Patrona, è stata aperta ufficialmente l’Inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità del Servo di Dio, don Italo Calabrò.

Presente, fra gli altri, il fratello del sacerdote, Corrado Calabrò. Il tutto è avvenuto ai piedi della Venerata Effigie della Madonna della Consolazione, da sabato 9 settembre custodita in Duomo. L’arcivescovo metropolita, monsignor Fortunato Morrone, i membri del tribunale da lui costituito, insieme al postulatore dottor Paolo Vilotta, hanno prestato giuramento come previsto dalle norme canoniche relative alle cause di beatificazione e canonizzazione.


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Il tribunale, insediatosi in Cattedrale, ha dato il via formalmente alla raccolta delle prove necessarie all’Inchiesta diocesana, volta ad accertare le virtù eroiche e cristiane di don Italo. Come da decreto di costituzione a firma dell’arcivescovo Morrone, vi fanno parte: monsignor Vincenzo Pizzimenti (Delegato episcopale); don Domenico Nucara (Promotore di giustizia); don Simone Gatto (Notaio attuario); don Maurizio Demetrio e don Davide Tauro (Notai aggiunti).

L'arcivescovo Morrone: «L'inchiesta serve ad onorare l'esistenza di don Italo»

L’apertura dell’Inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e fama di santità di don Italo Calabrò avviene dopo un periodo di circa un anno di lavori preliminari, culminati con il nulla osta da parte della Santa Sede. Conclusi i lavori della prima sessione, l’arcivescovo monsignor Fortunato Morrone, rivolgendosi ai fedeli presenti, ha spiegato l’importanza e il significato dell’inchiesta diocesana.

«L’inchiesta serve proprio per fare onore all’esistenza di don Italo. C’è una serietà nella Chiesa che riguarda il Vangelo di Gesù». L’avvio dell’inchiesta, quindi, serve proprio ad accertare il motivo per il quale «don Italo ha fatto delle scelte», mosse dalla «Santità di Dio che, attraverso lo Spirito di Gesù, ha investito l’esistenza di don Italo». Adesso si dà inizio ad un «cammino, ad un “work in progress”. Ma tutta la vita di don Italo è stata un cammino».

Gli incaricati del tribunale avranno adesso un compito: «riavvolgere il nastro e “rivedere” il suo cammino e come lui si è posizionato dietro Gesù». Tra i testimoni della vita di don Italo, Morrone ha poi ringraziato tutti coloro che hanno condiviso con lui giornate, speranze, ma anche delusioni e che, ancora oggi, contribuiscono a «portare avanti la sua opera che è opera di Dio». «Noi siamo certi - ha concluso l’arcivescovo - che don Italo continui a vivere nella pienezza del Signore».

Parla il postulatore, Paolo Vilotta: «Il suo grande “miracolo”: ha unito i cuori»

«In un periodo in cui tanto si parla di ponti, ecco: don Italo è stato un vero “ponte d’amore” contro ogni divisione». Paolo Vilotta, postulatore della causa di beatificazione, descrive così il carisma e la “santità” di don Italo Calabrò. Un compito non semplice quello legato al suo ruolo. Ma fondamentale a «dimostrare che l’indimenticato Servo di Dio ha vissuto in grado eroico le virtù cristiane».

Il postulatore Paolo Vilotta (in primo piano) il giorno dell'apertura dell'inchiesta

Cosa rappresenta per lei questo momento?

Ho seguito più di cinquanta cause in giro per il mondo, soprattutto in Sud America, ma essere in Calabria per me è molto importante, essendo anch’io calabrese.

Insediato il tribunale, cosa succede adesso?

Si apre ufficialmente l’inchiesta che dà avvio formalmente alla fase testimoniale. Il tribunale ascolterà tantissime persone, alcune indicate da noi altre d’ufficio, che hanno conosciuto don Italo. Ma anche persone che ne hanno solo sentito parlare in continuità con le opere-segno da lui realizzate. Tutto questo sostenuto dalla parte principale di una causa di beatificazione: la fama di santità. Ossia se c’è gente che davvero si affida a lui e questo, nel caso di don Italo Calabrò, è ben verificato anche nel corso del periodo precedente a questo ultimo anno, durante il quale sono stati avviati i lavori preliminari all’apertura dell’inchiesta diocesana.

L’iter, fin qui, cosa ha previsto?

Nella fase preliminare all’apertura ufficiale dell’inchiesta è già stata nominata una commissione di periti storici che ha il compito di raccogliere tutto il materiale storico-documentale sulla vita e le opere del sacerdote reggino.

I prossimi passaggi?

Conclusa l’inchiesta diocesana le prove raccolte verranno consegnate all’arcivescovo che provvederà a trasmetterle alla Congregazione delle Cause dei Santi. Si apre la cosiddetta “fase romana”, con l’ulteriore approfondimento da parte della Santa Sede dei documenti e delle testimonianze raccolte. Vi lavoreranno prima una commissione di teologi e successivamente, in caso di parere favorevole, una commissione composta da cardinali e vescovi. Ma spetterà soltanto al Papa esprimere un giudizio conclusivo sulla venerabilità di don Italo Calabrò.

Da postulatore, cosa l’ha colpita di più della figura di don Italo?

La sua presenza ancora “viva” tra le tante opere-segno da lui realizzate, ma anche nelle persone che lo hanno conosciuto e ne conservano ricordo e insegnamenti. Nel mio piccolo “pellegrinaggio” tra i suoi luoghi, sono rimasto colpito dal modo in cui ha operato nella piccola frazione di San Giovanni di Sambatello. Il suo contrastare la ‘ndrangheta con l’arma dell’educazione e del Vangelo, tanto da farne un “martire quotidiano” capace di donare ogni giorno “risurrezione” a tante vite.

Possiamo definirlo questo già il “miracolo” di don Italo?

Nel piccolo cimitero di San Giovanni, dove riposano le sue spoglie ho vissuto un itinerario di morte. Ho incontrato persone con in volto ancora il segno delle cicatrici. Cicatrici che diventano rose che sbocciano al solo parlare di don Italo. È questo il suo miracolo: l’aver smosso le coscienze, fatto capire che ci sono alternative laddove lo Stato latita. Lo ha fatto mosso da spirito cristiano, ergendosi a ponte tra famiglie contrapposte o in difficoltà. Un vero e proprio ponte d’amore, capace di unire i cuori.

Don Italo beato, un’attesa di trent’anni

I tentativi di dare inizio alla causa di beatificazione di don Italo Calabrò, «risalgono già all’indomani della sua morte». Già questo «dimostrerebbe la fama di santità», spiega il postulatore Vilotta.

Nell’illustrare l’iter che ha portato all’apertura dell’inchiesta, Vilotta ricorda ancora come «dopo una serie di incontri con i predecessori e, infine, con l’attuale arcivescovo, monsignor Fortunato Morrone, si è arrivati a questo passaggio importante per il cammino verso la beatificazione».

L’avvio dell’inchiesta è stato preceduto dal parere favorevole della Conferenza episcopale calabra e, poi, dal nulla osta con il quale la Santa Sede non ha opposto «alcuno ostacolo perché si avviasse l’inchiesta volta ad accertare le virtù eroiche e cristiane di monsignor Italo Calabrò».

Come postulatore, ancora le parole di Vilotta, «sono grato di rappresentare un piccolissimo tassello, volto a far conoscere l’uomo e il sacerdote don Italo. Sacerdote che avuto il coraggio di parlare ed entrare nei cuori della gente. Se non vi entrava dalla porta riusciva a farlo dalla finestra, pur di raggiungere e portare il bene. Uno stile a cui tanti si sono ispirati».

Il ricordo del fratello Corrado: «La nostra casa sempre aperta agli ultimi»

È bello che l’avvio del processo di beatificazione di don Italo sia avvenuto ai piedi dell’Effigie della Madonna, che tante volte don Italo ha accompagnato in processione. È un momento di forte emozione in cui la Chiesa reggina si stringe intorno a don Italo. Cosa dire su mio fratello? Segnò una svolta nella città di Reggio.

Corrado Calabrò insieme all'arcivescovo Fortunato Morrone

In una stagione in cui imperava il motto privato è bello, don Italo - con un gruppo di giovani che raccolse attorno a lui all’Istituto industriale Panella - diede un altro obiettivo: l’attenzione agli altri. Disabili fisici e psichici (soprattutto dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici), anziani abbandonati, ragazze madri, malati di ogni specie di malattia, compreso l’Aids, giovani che il Tribunale dei minorenni gli affidava. Don Italo promosse forme innovative di assistenza. Creò le “case famiglia” e le “case di accoglienza”.

L'impronta lasciata in Caritas

Un ricordo personale? A Natale solitamente gli ospiti delle case famiglia e accoglienza che avevano qualche parente, anche lontano, tornavano nella propria famiglia. Ma c’era qualcuno che non aveva proprio nessuno e allora veniva da noi. Mamma Teresa allungava la tavola ed erano tavolate di venti persone con questi ragazzi che entravano a far parte della nostra famiglia.


PER APPROFONDIRE: Come nascono le Opere-segno? Don Antonino Iachino racconta don Italo Calabrò


È da quelle esperienze che è maturato in don Italo il concetto di condivisione. Raccontava monsignor Nervo, cofondatore della Caritas nazionale insieme a don Italo, che Italo è stato un delegato diocesano della Caritas molto attivo, ma che il segno più incisivo da lui lasciato nella Caritas è stato il concetto di “condivisione”.

La rinuncia a diventare vescovo per stare accanto agli ultimi

Condivisione significa «non fare la carità da distante a distante, ma condividere la situazione dell’assistito, compenetrandosi in essa come se fosse la propria». Per restare accanto ai suoi assistiti e ai giovani che lo affiancavano nella sua opera don Italo rinunciò per due volte alla nomina a vescovo.

Don Italo Calabrò insieme ai "suoi" ragazzi

Io lo appresi dall’allora Segretario generale della conferenza episcopale italiana, monsignor Camillo Ruini, in occasione degli incontri tra la delegazione pontificia e quella italiana per l’applicazione del Concordato. Don Italo non ne aveva mai fatto cenno.

La scoperta della malattia e la nascita al cielo

La rivelazione della malattia di mio fratello avvenne a Roma. Il professor Cortesini, chirurgo d’avanguardia, presso il quale lo accompagnai, era imbarazzato. Non riusciva a trovare le parole.

«Professore - gli chiese don Italo ho bisogno di sapere quanto tempo mi resta da vivere!». Il prof. Cortesini tergiversava, ma don Italo incalzava: «Professore, io devo sapere. Ho le mie opere da sistemare. Mi restano anni, mesi, settimane?». «Più quest’ultima ipotesi», rispose alla fine Cortesini. Mia figlia Maria Teresa che era lì con noi scoppiò in lacrime. Don Italo abbassò le palpebre e chinò il capo; rimase un momento in raccoglimento. Quando rialzò il capo il suo sguardo era fermo, il suo volto disteso.

Nei quarantacinque giorni che seguirono fino alla sua morte, un flusso continuo di visitatori venne a trovarlo. Don Italo riceveva tutti. Ho visto giovani sacerdoti e suore interrogarlo con lo sguardo, come per rispondere a un’inquietudine interiore. A tutti Italo rivolgeva una parola rasserenante e quando non poté più parlare, un sorriso.

Molti ricordano ancora le esequie di don Italo. Dozzine e dozzine di confratelli concelebrarono il rito funebre. La Cattedrale era gremita, ma anche nelle strade adiacenti, sui marciapiedi, c’era gente assiepata. Ho visto, quando passava il feretro, persone anche più anziane di lui piangere, inginocchiarsi e chiamarlo “padre”.

Corrado Calabrò, fratello di don Italo Calabrò

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