Avvenire di Calabria

Sempre più adolescenti alla ricerca di comprensione: è l'inquietante quadro che emerge anche dagli ultimi fatti di cronaca

Ascolto e dialogo: la chiave per colmare il vuoto emotivo dei giovani

Colmare le distanze generazionali oggi è la vera sfida

di Monsignor Pietro Sergi *

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«La notte ventosa e selvaggia / che la pioggia si portò via / ha lasciato una pozza di lacrime / piangendo tutto il giorno. / Perché mi lasci qui? / Mostrami la via!» Così cantavano i Beatles nel lontano 1970. Che impressione destano queste parole, ascoltate in loop da un diciassettenne di oggi, un ragazzo “normale”, di una “normale famiglia” milanese! Chissà cosa cercava in quelle parole, che emozioni suscitavano nel diciassettenne Riccardo.


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Un ragazzo come tanti, che dovrebbe prepararsi a ricominciare il suo cammino scolastico, ragazzo di una famiglia perbene della provincia di Milano, Paderno Dugnano, figlio di una famiglia come le nostre. In quelle parole Riccardo si è trovato descritto, ha cercato la compagnia al suo segreto malessere, in quella sua notte senza stelle, «perché non si sentiva capito»: la sua giovane vita, come una strada lunga e tortuosa, the long and winding road, al termine della quale c’è una porta sbarrata.

Com’è difficile l’arte del genitore e quanta impotenza davanti al mistero che è ogni figlio! Riccardo ha bussato, per come ha saputo e potuto, battendo alla porta di un mondo adulto, un mondo che egli sentiva distante, occupato a farlo stare bene, a dargli il meglio, a garantire la sua serenità, a stabilire il prossimo step del suo cammino e a giustificarlo nei suoi eventuali insuccessi.


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Nulla mancava a Riccardo. Ma il ragazzo pensava che nessuno si fosse accorto del suo dramma, nessuno colmava quel vuoto, nessuno camminava con lui e nessuno gli aveva aperto la porta di una casa che sperava. Pertanto, ha pensato che in quella sua disperazione tutti valevano quanto nessuno. Si è sentito “corpo estraneo” a casa sua ed è rimasto solo il “vuoto” e l’ansia di una tenebra che ha immaginato vuota e disabitata.

«Sono stato solo molte volte, / ho pianto tante volte / Comunque non ti puoi immaginare quante volte / ho tentato … Mi hai lasciato qui tanto, / tanto tempo fa. / Non lasciarmi qui ad aspettare / conducimi alla tua porta!» – E il mondo degli adulti rimane attonito davanti a tutto questo dolore. Gli adulti vogliono il bene dei giovani.

Ma di cosa è fatto davvero il bene dei nostri figli? Lo abbiamo mai sperimentato sulla nostra pelle? Cosa abbiamo sognato alla loro età, noi adulti? E quello che abbiamo sognato si è poi avverato? Cos’è la vita? Siamo sicuri di sapere cosa stiamo prospettando alle generazioni a venire? Dove abbiamo riposto la nostra vera speranza e di cosa sono intessuti i sogni che la compongono?


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Pier Paolo Pasolini scriveva: «Oh, sfortunata generazione, / piangerai, ma di lacrime senza vita / perché forse non saprai neanche riandare / a ciò che, non avendo avuto, / non avrai neanche perduto!».

Il testo di quella canzone sembra rivolgersi a un “Tu” misterioso e implora la pietà di una porta che si apra. Col desiderio che questa compassione accada per tutti, giovani e adulti, spero inizi il nuovo anno scolastico. Che sia bagnato di lacrime e abitato dall’inquietudine di una ricerca continua di qualcosa, di Qualcuno che compia questa nostra povera umanità. Per noi cristiani resta lo struggimento di aver incontrato la Risposta al dramma dell’uomo in Gesù di Nazareth e la speranza che anche attraverso la nostra presenza presente tutti la possano incontrare.

* Vicario Episcopale per la Pastorale della cultura
Arcidiocesi Reggio Calabria - Bova

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