Avvenire di Calabria

Ospite di Good Morning Calabria, il podcast della redazione di Avvenire di Calabria

Tutela dei minori, parla suor Grazia Vittigni: «La questione riguarda tutti»

Tra le prime referenti diocesane in Italia del Servizio tutela dei minori, la religiosa approfondisce la complessa tematica e anche altri argomenti

di Francesco Chindemi

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Suor Grazia Vittigni, referente diocesano del Servizio per la tutela dei minori della diocesi di Albano e una delle prime in Italia, dedica da sempre la sua vita alla difesa dei più vulnerabili. Oltre ad essere docente all’Istituto di Antropologia (Iadc) della Pontificia Università Gregoriana, è anche autrice di numerose pubblicazioni sulla tutela dei minori e delle persone vulnerabili.


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Ospite di Good Morning Calabria, il podcast della redazione di Avvenire di Calabria, suor Grazia Vittigni ha voluto condividere con noi la sua esperienza e competenza nel campo della tutela dei minori e dei soggetti fragili, discutendo delle sfide attuali che coinvolgono la Chiesa con uno sguardo rivolto anche all'attualità.

🎙️ Ascolta qui il podcast con suor Grazia Vittigni 👇

Suor Grazia, iniziamo con una domanda in apparenza semplice: chi sono oggi le persone più fragili e vulnerabili?

Questa è una domanda veramente impegnativa. Abbiamo la tendenza a categorizzare le persone vulnerabili e fragili. Certamente ci sono gruppi specifici, come i minori, le persone con disabilità e gli anziani, che portano in sé una maggiore vulnerabilità. Tuttavia, dobbiamo stare attenti a non escluderci da queste categorie, perché la vulnerabilità è un tratto umano comune. In alcune situazioni è più evidente, ma tutti, in certi momenti, siamo vulnerabili. Per esempio, quando andiamo dal medico, siamo in una posizione di vulnerabilità rispetto al medico.


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La stessa dinamica si verifica tra insegnanti e studenti, tra vescovi e preti, tra parroci e parrocchiani, e così via. Dobbiamo imparare a riconoscere e gestire il potere nelle relazioni. Quindi, la vulnerabilità non è limitata ad alcune persone o ambiti, ma è una realtà che può riguardarci tutti.

La Chiesa ha fatto molti progressi nella tutela dei minori e delle persone vulnerabili. Come si possono integrare questi progressi nella pastorale ordinaria?

È essenziale diffondere sensibilizzazione, informazione e formazione a tutti i membri del popolo di Dio. Non si tratta di un argomento riservato solo agli esperti. La responsabilità è di tutti e di ciascuno. Il primo passo è la sensibilizzazione: capire che dobbiamo prenderci cura di noi come comunità. Poi, dobbiamo focalizzarci sulle relazioni, imparando ad ascoltare con il cuore e a vedere le persone vulnerabili che spesso restano invisibili. È fondamentale anche il coraggio di segnalare quando qualcosa non funziona. Gravissimo è non solo l'abuso, ma anche il sistema di copertura che impedisce a queste situazioni di emergere.

C'è tanto sommerso in tema di violenza sui minori. Perché è così difficile denunciare e far emergere queste situazioni?

Il sommerso è una realtà dimostrata dagli studi. Il dolore che riesce a essere comunicato è solo una piccola parte rispetto al dolore profondo che resta nascosto. Le persone ferite trovano estremamente difficile parlare degli abusi subiti, spesso impiegano anni per riuscirci. Vergogna, senso di colpa e paura di non essere creduti sono ostacoli enormi. Anche per chi potrebbe essere testimone, la paura di non essere creduti è altissima. Inoltre, il potere gioca un ruolo importante: denunciare significa avere il coraggio di sfidare strutture di potere ben radicate.

Perché spesso si pensa che la responsabilità della tutela dei minori e delle persone vulnerabili spetti solo ad alcuni, mentre altri si tirano indietro?

Credo che questa sia una questione che tocca il cuore del Vangelo. Alla fine del Vangelo di Matteo, c'è la parabola del giudizio finale, dove il Signore dice: «Tutto quello che avete fatto a questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Spesso non ci rendiamo conto di aver fatto del bene, così come pensiamo che certe responsabilità spettino ad altri. Dobbiamo continuamente rinnovare la capacità di fermarci e vedere l'uomo ferito accanto a noi, senza passare oltre. Nella parabola del buon samaritano, il sacerdote e il levita non passano oltre perché sono cattivi, ma perché devono rispettare delle norme. Il samaritano, invece, nella sua semplicità, ha il coraggio di fermarsi. Questa è una chiamata valida per ogni persona, per ogni cristiano.

Quali sono i punti nodali che è possibile replicare nelle altre diocesi alla luce della sua esperienza?

Non ci sono ricette preconfezionate. È importante conoscere bene la realtà locale. Sono stata nominata referente della diocesi di Albano nel 2019 dal vescovo, l'attuale cardinale Marcello Semeraro, probabilmente grazie alla mia esperienza come psicologa e psicoterapeuta. Ho lavorato a lungo con sacerdoti, religiosi e seminaristi, accompagnando anche persone che avevano subito abusi. Questa esperienza mi ha aiutato molto. Tuttavia, svolgere questo servizio richiede competenze specifiche. Ho chiesto ai miei superiori e al vescovo di potermi preparare ulteriormente.


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Mi sono formata in Safeguarding, che è più della semplice tutela e protezione. È essenziale conoscere il contesto ecclesiale. La formazione è fondamentale, sia all'interno della Chiesa che fuori. Il ruolo della leadership è cruciale: se la leadership ci crede e vuole attuare politiche di trasparenza, il cambiamento è possibile. Nella diocesi di Albano, stiamo facendo piccoli passi: formazione per il clero, insegnanti di religione, catechisti, consigli pastorali e varie associazioni. L’ascolto è il primo passo per affrontare seriamente il problema.

Come si spiega l'aumento dei casi di violenza tra minorenni?

La tematica è complessa e non posso dare una spiegazione esaustiva. Tuttavia, il fenomeno è in crescita. La domanda da porsi è: «come stiamo accompagnando i ragazzi nella loro crescita?» Ogni gesto di violenza estrema è un segnale di grande fragilità interiore. La violenza indica una struttura personale molto fragile. Noi adulti dobbiamo interrogarci su come accompagnare i ragazzi affinché siano meno fragili. A volte vediamo i figli come prolungamenti di noi stessi e non come soggetti indipendenti. Non tolleriamo la frustrazione e non permettiamo loro di affrontarla. Così li rendiamo più fragili. Non possiamo risparmiare loro le difficoltà della crescita, perché questo li rende paradossalmente più fragili.

Quale ultimo messaggio vorrebbe condividere con chi ci legge?

Vorrei lasciare un messaggio di incoraggiamento. La Chiesa può e deve essere un lievito di vita nuova nella società. Questo possiamo esserlo se ciascuno di noi si impegna a vivere il Vangelo. Il tema della tutela dei minori non è diverso da quello che ci chiede Gesù nel Vangelo. L'incoraggiamento è di essere pezzettini di lievito, così possiamo essere degli anticorpi contro il virus della violenza, degli abusi e del non rispetto. Ognuno di noi deve guardare alle proprie relazioni ed essere attento a rispettare sé stessi e gli altri. Un augurio di buon cammino a tutti.

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