Avvenire di Calabria

A cosa serve la scuola

Un grande laboratorio di formazione, di crescita personale e sociale

Alberto Campoleoni

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A cosa serve la scuola? A cosa serve studiare? Sono domande che difficilmente si tematizzano tutti abbiamo (o abbiamo avuto) a che fare con la scuola e lo studio e quindi, come succede con le cose ordinarie, non ci si pensa troppo ma in realtà portano a risposte non scontate.
Nei giorni scorsi una lettera del presidente degli industriali di Cuneo, rivolta alle famiglie cuneesi, a proposito della scelta della scuola superiore dei figli, accreditava l’idea non peregrina, peraltro, e nemmeno tanto singolare che la scuola, studiare, serva prevalentemente a trovare un lavoro “dopo”. Ai genitori, gli industriali cuneesi consigliavano di individuare le figure di cui le aziende hanno bisogno e che hanno intenzione di assumere nei prossimi anni e di conseguenza avviare i figli ad un percorso di studi che sbocchi in quel tipo di professionalità.
Molte le reazioni. Un’altra associazione di industriali dello stesso territorio Confapi Cuneo si è sentita addirittura in dovere di chiedere scusa alla famiglie per quella che veniva definita una voce stonata nel coro della migliore imprenditoria del Nord Ovest, resa grande negli anni da forti passioni, idee geniali e coraggio competitivo. Stonata perché, legando direttamente la scelta della scuola alle prospettive occupazionali, in sostanza tradiva un disegno più grande, la possibilità, cioè, offerta ai ragazzi dal percorso scolastico, di osare, di “pensare in grande”, alla fine di diventare donne e uomini migliori. La scuola (e lo studio), dunque, non come agenzia occupazionale, ma come grande laboratorio di formazione, di crescita personale e sociale.
Due visioni a confronto, che apparentemente sono il bianco e il nero, irrimediabilmente contrapposte. A pensarci bene, però, si tratta di una contrapposizione che si propone da sempre e che, allo stesso tempo, da sempre si stempera nellesperienza e nella pratica quotidiana. Chi ha presente le discussioni infinite sulle tante proposte di riforma della scuola superiore, ad esempio, ricorderà quante volte è tornata la preoccupazione per una scuola piegata al mondo del lavoro e a dire la verità si tratta di un tema non solo italiano – per orientamenti fin troppo professionalizzanti. Si può anche ricordare il dibattito e le sperimentazioni sulla necessità di una formazione più generale e umanista anche in quegli istituti, i Professionali, ad esempio, che per loro natura vorrebbero essere più vicini proprio al mercato del lavoro. E forse si può riflettere sui significati di un’esperienza come l’alternanza scuola-lavoro che pure ha preso molto piede in questi anni. O, ancora problematizzando, sulle discussioni senza tempo legate agli studi classici. Ad esempio: Latino o no? E il Greco? O la Filosofia?
Ecco che si agitano le stesse domande proposte sopra: a che serve la scuola? A che serve studiare?
Una risposta o almeno una prospettiva è quella suggerita ufficialmente dalle nostre stesse istituzioni scolastiche: formare l’uomo e il cittadino. Che vuol dire favorire l’ingresso da protagonisti nella società, anche e senza sottovalutare le competenze professionali. La scuola, certo, è qualcosa (molto) di più di un percorso più o meno lungo di tirocinio. E forse la lettera degli industriali cuneesi messaggio sbagliato, come ha detto la ministra Fedeli di buono consegna la necessità di interrogarsi, di continuare a riflettere, di non mettere tra parentesi e dare per scontate domande in realtà sempre provocanti.

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