Avvenire di Calabria

L'analisi del presidente della Federazione italiana Comunità terapeutiche Luciano Squillaci

Droghe e dipendenze, non si può nascondere la testa sotto la sabbia. Affrontare il problema è sfida di tutti

In Italia è allarme: il 28% dei ragazzi in età scolare tra i 15 e i 19 anni ha dichiarato di aver fatto uso di sostanze illegali

di Luciano Squillaci *

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Nel nostro Paese il 28% dei ragazzi in età scolare tra i 15 e i 19 anni ha dichiarato di aver fatto uso di sostanze illegali. Parliamo di circa 800 mila ragazzi, quasi uno studente su tre. Senza considerare che circa il 33% si è ubriacato o ha fatto il cosiddetto binge drinking (abbuffata alcolica) e il 19% ha usato psicofarmaci senza prescrizione medica. 

Giornata mondiale contro l'abuso e il traffico illecito di droga, il tema: investire in prevenzione

Questa è la realtà di fronte alla quale, anche quest’anno, ci apprestiamo a vivere la XXXVI Giornata mondiale contro l’abuso e il traffico illecito di droga. E non a caso il tema di quest’anno, stabilito dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, è proprio «L’evidenza parla chiaro: investire nella prevenzione».


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Un tema fondamentale rispetto a un problema, quello della droga, relegato ormai a fatto sociale di secondo piano, sempre più nascosto sotto il tappeto delle nostre città, come fosse solo polvere, un po’ fastidiosa forse, ma tutto sommato sopportabile. E tutto questo va più che bene per noi benpensanti, sino a quando, improvvisamente, non veniamo coinvolti direttamente, perché uno dei nostri figli, nipoti o cugini ci finisce dentro. Allora tutto a un tratto ci accorgiamo che il problema esiste e che, se uno studente su tre usa sostanze, alla fine non potranno sempre essere figli o parenti di altri.

La verità è che negli ultimi anni abbiamo imparato (molto bene) a nascondere la testa sotto la sabbia, sino a convincerci che per eliminare problemi e seccature varie è sufficiente far finta che non esistano. Un peccato di omissione, anzi direi proprio un costante e determinato esercizio di negazione, che ha portato alla normalizzazione degli eccessi e quindi al dilagare, senza precedenti, di droghe legali e illegali nelle nostre città e nei nostri paesi. Certo, viviamo un’epoca storica complessa, incontriamo ogni giorno problematicità e vulnerabilità che non sono paragonabili al passato.

Globalizzazione e connettività hanno accentuato le fragilità

La globalizzazione e la connettività costante hanno di fatto amplificato le fragilità, nel puerile tentativo di negarle, togliendo loro ogni significato umano e rendendole debolezze da nascondere. Sono anni che parliamo di povertà educative, di comunità educante, di prevenzione, di protagonismo positivo dei giovani, ma ancora non siamo riusciti a fare il salto culturale necessario per approcciarci come sistema alla complessità moderna.


PER APPROFONDIRE: Droga, salvarsi è possibile: «Così abbiamo detto no alla dipendenza»


Prevenzione non è solo uno strumento, una parola, una corretta informazione su ciò che fa bene o fa male, ma dovrebbe essere declinata come percorso educativo strutturato per promuovere la cultura del benessere e della salute. La droga non rende solo dipendenti, ma uccide il corpo, la mente, l’anima, l’identità. La pandemia dovrebbe averci insegnato, ma il condizionale è d’obbligo, che la salute non è solo un fatto individuale, che esiste una responsabilità collettiva anche nelle scelte del singolo e un’interdipendenza tra contesto, società e persona. E invece il nostro modello di intervento, sia in ambito sanitario che sociale, è fondato su due elementi tra loro drammaticamente conseguenti: da un lato la categorizzazione per problemi, e dall’altro la tipizzazione delle prestazioni.

Non è solo questione di abuso...

In parole semplici, progettare oggi un percorso sanitario o sociale che sia, è come entrare in un grande supermercato, scegliere tra gli scaffali la categoria di appartenenza (minori, anziani, disabili, tossici, ecc.) e “prelevare” le prestazioni standardizzate disponibili. Un meccanismo infernale che porta inevitabilmente a mettere il problema o la patologia al centro, relegando la persona a semplice comparsa. Ma quando c’è una condizione di tossicodipendenza le implicazioni sono tante. Non è solo un problema di sostanza d’abuso o di patologia medica. Interagiscono fattori sociali, giudiziari, familiari, economici. Ecco perché è necessario un approccio di contesto, capace di impiantare modelli educativi, ma anche culturali, che pongano al centro la persona nella sua complessità relazionale e che abbiano a cuore il benessere sociale dell’intera comunità locale.


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Un cambio di passo che deve avvenire il prima possibile, a partire da una nuova legge di riferimento che sostituisca l’attuale, datata 1990, e che proponga un approccio integrato propulsivo di un modello di prevenzione e di cura realmente multidisciplinare. La droga è un fenomeno che riguarda l’intera comunità, prenderne atto e affrontarla per ciò che realmente rappresenta è l’unico modo possibile per dare un senso alla celebrazione di questa giornata mondiale.

* presidente Federazione italiana Comunità terapeutiche

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