Avvenire di Calabria

La Casa circondariale Ugo Caridi ha accolto il segno di vicinanza della Comunità ecclesiale, don Giorgio: «sono stati destinati prima di tutto a chi ha situazioni di salute particolari e ai più indigenti»

8xmille, donati 70 ventilatori al carcere di Catanzaro. Il cappellano Pilò: «grande gesto di attenzione verso chi soffre»

Il progetto promosso dalla Cei in collaborazione con il Servizio di promozione al sostegno economico della Chiesa è stato inaugurato il 12 giugno scorso dal Cardinale Zuppi a Rebibbia

di Davide Imeneo

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Lo scorso 12 giugno il cardinale Zuppi ha inaugurato “Semi di tarassaco volano nell’aria”, il progetto della Conferenza episcopale italiana promosso in collaborazione con il Servizio di promozione al sostegno economico e con l’Ispettorato generale dei cappellani delle carceri, voluto fortemente dalla Presidenza della Cei per far sentire la vicinanza della Chiesa cattolica ai detenuti. Nel mese di giugno, grazie ai fondi 8xmille, oltre 2.000 ventilatori sono stati distribuiti in 30 istituti penitenziari sul territorio nazionale per aiutare i detenuti più fragili a sostenere il caldo estivo.

I ventilatori ai detenuti, ecco il progetto "Semi di tarassaco volano nell'aria"

La popolazione reclusa continua a crescere nel nostro paese. A fronte di 51.272 posti ufficialmente disponibili, le persone detenute sono oltre 60mila con un tasso di affollamento medio del 117,2% (dati tratti dal XX Rapporto Antigone) che si traduce in condivisione di spazi ristretti e difficili condizioni ambientali.

La Chiesa cattolica desidera ricordare la propria vicinanza ai detenuti, in particolare quelli più fragili, ribadendo che c’è vita oltre quelle sbarre e che loro sono nella condizione di poter sperare che un giorno, dopo il percorso riabilitativo, quelle porte possano riaprirsi.

Con questo gesto di solidarietà, la Chiesa in Italia, unitamente a tutti i cappellani e operatori pastorali che svolgono la loro delicata missione all’interno delle carceri, vuole trasmettere la sua gratitudine a chi opera nel sistema penitenziario e la sua vicinanza a tutte le persone che stanno scontando la propria pena all’interno degli Istituti.

Tra gli Istituti penitenziari protagonisti di questa campagna di solidarietà, c’è anche la Casa circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro, una struttura in cui svolge il proprio ministero il cappellano don Giorgio Pilò. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare l’importanza di questo gesto promosso dalla Conferenza episcopale italiana.

Don Giorgio, quali sono le difficoltà che i detenuti vivono soprattutto in estate?

In carcere d'estate certe difficoltà aumentano, prima di tutto il caldo. Nonostante si dica che “si stia al fresco”, d'estate al fresco non si sta, perché le carceri sono strutture di cemento armato (come la nostra di Catanzaro) e il cemento non favorisce il fresco, non aiuta.

Poi un'altra difficoltà estiva è che mancano la scuola e tantissime attività, c'è più ozio, più staticità, più tempo vuoto…uno dei grandi rischi del carcere è proprio questa inezia, questo rimanere inerti, passivi. È classica l'immagine del detenuto che sta sdraiato a letto davanti al televisore. Per fortuna questa cosa ormai è molto minoritaria, ma d'estate, venendo meno scuola e attività, si piomba un po' in questa passività.

Poi il caldo fa complicare tutto, rende tutti più nervosi, per cui si rischiano maggiori tensioni anche per il nervosismo, la tensione che si crea anche a livello umorale.

Infine, d'estate si sa che la penuria di guardie aumenta per le ferie, certi giorni ci sono pochissimi agenti che controllano un numero enorme di detenuti. D'estate la mancanza di agenti diventa macroscopica, si vede ancora di più.

Queste difficoltà appartengono a tutti gli istituti penitenziari oppure sono localizzate solo in alcuni?

Le difficoltà delle carceri ormai sono comuni purtroppo, me ne rendo conto quando ci incontriamo tra cappellani in regione o a livello nazionale: abbiamo tutti gli stessi problemi, anche perché credo sia una difficoltà del sistema. Un esempio fra tutti: c'è una difficoltà a reperire nelle carceri dirigenti, educatori, perché sono posti difficili da occupare, non c'è certo la corsa a fare questo tipo di servizio. Quindi credo che in tutta Italia questa mancanza di continuità nella direzione, nel comando crea molti problemi.

Negli ultimi anni, inoltre, è aumentata tantissimo la burocrazia in carcere, gli educatori hanno meno tempo da dedicare al dialogo personale con i detenuti perché hanno una montagna di carte, una montagna di relazioni, una montagna di documenti da preparare. Anche per questo, sia a Catanzaro che in tantissimi istituti italiani, stiamo sperimentando un regime un po' più stretto, un po' più legato alle norme, alle regole. Certo, in un carcere le regole sono vitali, ma farle diventare stringenti rende tutto più complicato…poi se ne vede l'effetto. Quindi la difficoltà credo che sia proprio strutturale, dipende un po' dall'impostazione che si è data in questi ultimi anni.

Continuano gli episodi di "crisi", ancora una volta abbiamo sentito parlare di suicidi in carcere. Lei come riesce a portare speranza a queste persone?

Portare la speranza in carcere è la missione della Chiesa, la missione del cappellano, la missione dei volontari, la missione degli altri preti che collaborano, delle suore. La Chiesa in carcere non può risolvere tutti i problemi. Noi abbiamo all'interno del carcere uno sportello Caritas per gli indumenti, per aiuti economici, i volontari si fanno in quattro per coprire quelle serie di bisogni che l'istituzione non copre, fin dove possiamo, però l'obiettivo è sempre il principale, quello di portare la speranza.

Vorrei sottolineare che ci sono stati suicidi anche tra gli agenti della polizia penitenziaria, negli ultimi vent'anni credo un centinaio di agenti si sono suicidati; quindi, non è solo un problema dei detenuti. La realtà del carcere logora, crea molta tensione, molti operatori sperimentano stati d'ansia esagerati, molti agenti vivono la depressione. La cappellania è impegnata a seminare speranza, soprattutto nell'incontro personale. In un carcere un po' più piccolo, dove magari ci sono 150-200 detenuti, il lavoro può essere più capillare. Il nostro carcere contiene quasi 700 detenuti e centinaia e centinaia di agenti; quindi, non sempre si ha l'opportunità di dedicare a tutti il tempo necessario, ma il nostro obiettivo è portare speranza soprattutto nel dialogo.

Tante volte è importante tenere piccoli contatti con la famiglia dei detenuti, il lavoro in carcere non si esaurisce all'interno del carcere, c'è tutto un lavoro oltre le sbarre, perché per ogni detenuto fuori c'è una moglie, figli, mamma, papà, fratelli che assieme al detenuto vivono questa fatica. Quindi il nostro ministero consiste nel seminare speranza a 360 gradi, a chi è dentro e a chi è fuori. È un lavoro molto impegnativo, molto serio, che richiede soprattutto costanza, perseveranza. Si ricomincia sempre da capo: tu stai accanto a un detenuto, lo aiuti, lo accompagni, lo sostieni, lo incoraggi, poi questo detenuto esce o viene trasferito e si ricomincia con un altro. Io sono al ventiquattresimo anno come cappellano in carcere, mi è sembrato di ricominciare da capo non so quante volte, ma fa parte della pastorale carceraria: bisogna essere sempre pronti a riprendere e a lasciare andare quello che si è fatto.

La Cei ha voluto donare alcuni ventilatori, anche nel carcere in cui è cappellano ne sono stati portati alcuni. In che modo è stato accolto questo gesto?

Grande gratitudine per la Cei, per i vescovi italiani che lo scorso anno ci hanno fornito tantissime Bibbie, proprio stampate appositamente dalla Cei per il carcere e quest'anno ha avuto l'idea di regalare dei ventilatori. Da noi ne sono arrivati una settantina, un bellissimo segno di speranza. Da qualche anno il calore, il caldo è aumentato nel mondo, così come nel carcere e i normali accorgimenti non bastano più. Già l'anno scorso i detenuti erano stati autorizzati ad acquistare dei piccoli ventilatori, ma non sono sufficienti. I nostri 70 ventilatori sono stati destinati prima di tutto a chi ha situazioni di salute particolari e poi a chi è più indigente, quindi si è cercato di tamponare qualche bisogno, è sempre una goccia in un mare, è un segno bello di speranza, di vicinanza della Chiesa italiana, un gesto di interessamento, di partecipazione.

Cosa chiede alla comunità ecclesiale? In che modo possiamo aiutare lei e tutti i cappellani ne vostro ministero?

Di recente, nei giorni scorsi, insieme al vescovo Maniago, ho incontrato i preti giovani della nostra diocesi di Catanzaro, quelli che sono entro il decimo anno di ordinazione. Mi hanno fatto la stessa domanda: come possono le parrocchie e le comunità ecclesiali fuori dal carcere rendersi presenti, dare una mano, sostenere questo lavoro? La mia risposta è stata molto semplice: prima di tutto i parroci hanno la possibilità di venire a trovare eventuali parrocchiani in prigione.

L'istituzione carceraria prevede la visita del parroco o del padre spirituale, quindi nonostante ci sia già un prete in carcere, l'istituzione prevede che un detenuto possa avere un rapporto profondo con un sacerdote (padre spirituale o parroco), è previsto che si possa colloquiare.

Le parrocchie, inoltre, producono tante cose belle: recital, musical, incontri di preghiera particolari. Una cosa che si può fare è proporle in carcere; è già successo in passato che alcune parrocchie in momenti particolari dell'anno, costruiscono un momento di preghiera molto ricco e l'hanno proposto in carcere. Poi l'aiuto che ci viene dalle parrocchie, a parte qualche aiuto economico, è legato alla raccolta di indumenti per i detenuti indigenti. Noi in genere chiediamo soprattutto tute e magliette.

Poi vari gruppi sono venuti in carcere in questi anni a fare evangelizzazione…il cammino neocatecumenale, il rinnovamento nello spirito, adesso inizieremo il progetto Alfa... Insomma ognuno può portare il suo piccolo contributo per il benessere di persone che si trovano nella sofferenza. Il carcere è un mondo che raccoglie tante persone che soffrono, hanno sofferenze di tutti i tipi, fisica prima di tutto, psicologica. Sono tante le possibilità per portare speranza a servizio di chi soffre.

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